I luoghi descritti da Alessandro Manzoni ne “I promessi sposi” conservano intatto il loro fascino e attirano molti visitatori desiderosi di vedere gli scenari reali del grande romanzo. Roberto Costa è andato alla ricerca di gente che ricordasse in qualche modo i personaggi del grande romanzo che, vivendo perennemente di una vita che va oltre il tempo, si ritrovano ancora nei caratteri di alcuni abitanti del luogo. Così vengono avvicinati il parroco di Olate, cui probabilmente Manzoni pensava come il paese degli sposi promessi, e la proprietaria di una trattoria. Il convento dei frati cappuccini a Pescarenico non esiste più, ma esiste ancora, nella chiesetta del paese, un ultimo loro ricordo, un manoscritto del 1718 intitolato “Cronichetta della fondazione del convento dei cappuccini di Lecco”, nel quale si sente riaffiorare la vita di quel tempo e di quella comunità religiosa. Pescarenico non è più soltanto un gruppetto di case abitate da pescatori. Vi sono operai, impiegati, artigiani e i barcaioli si possono ormai contare sulle dita di una mano. Per i barcaioli del traghetto, la fuga di Renzo, Lucia e Agnese non fa parte di nessun romanzo, è una storia tramandata di padre in figlio, una grande leggenda vera, lontana e confusa, come testimonia Angelo, uno degli ultimi pescatori rimasti, che crede di essere un discendente di quel barcaiolo che aiutò i tre a fuggire oltre l’Adda. La conclusione di questo viaggio avviene a Milano, alla Chiesa di San Carlo al Lazzaretto e offre l’occasione per far udire la predica di padre Felice con cui, nel romanzo, il frate rivolge le sue commosse parole di commiato ai fortunati che, una volta guariti, lasciano il ricovero degli appestati.
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