Progetto filosofi – Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche
Il filosofo Gabriele Giannantoni, già professore dell’Università Sapienza di Roma, ci introduce al pensiero di Socrate (Atene, 470 a.C./469 a.C.– Atene, 399 a.C.), uno dei più grandi filosofi dell’antichità che ha influenzato tante correnti del pensiero filosofico moderno e contemporaneo.
Qui di seguito la trascrizione dell’intervista integrale al professor Giannantoni
Nel suo essere filosofo del dialogo, nel suo ricercare la verità in comune con altri, Socrate come sceglieva i suoi interlocutori? E che ruolo svolgeva il dubbio nel dialogare di Socrate?
Chi ci parla di Socrate ce ne parla sempre come intento a discutere con tutti: Socrate non discrimina nessuno nelle sue conversazioni. Naturalmente, in questa rappresentazione di un Socrate disponibile a discutere con tutti c’è l’intento di contrapporlo ai sofisti, che invece si facevano pagare profumatamente per le loro lezioni, e quindi si sceglievano interlocutori ricchi, di famiglie particolarmente facoltose. Naturalmente, con chi discutesse di fatto Socrate non lo sappiamo; sappiamo con chi lo fa discutere Platone, con chi lo fa discutere Senofonte, con chi possiamo pensare, da quegli scarsissimi resti che ci sono rimasti, lo facessero discutere Euclide, Antistene, Eschilo e altri socratici. In Platone gli interlocutori naturali di Socrate sono i grandi sofisti o i rampolli di nobili famiglie, come Carmide, Glaucone, Adimanto. Questi personaggi appartengono tutti a famiglie in vista di Atene, ma certamente nella cerchia dei personaggi socratici ci sono anche figure molto più modeste. Quando pensiamo agli interlocutori di Socrate dobbiamo pensare a quell’ambiente che in Atene si interessava dei problemi filosofici, e che era fatto di gente incuriosita dell’insegnamento dei sofisti e dei filosofi naturalisti, di ascoltatori dei grandi oratori politici. Probabilmente potremmo conoscere molto meglio Socrate se avessimo il testo delle orazioni di Pericle; ma purtroppo abbiamo soltanto quello che Tucidide gli attribuisce. Certamente questo è l’ambiente entro cui Socrate svolge il suo dialogare.
Per quanto riguarda il ruolo del dubbio nel dialogare socratico bisogna dire che Socrate ha come atteggiamento costante quello di revocare in dubbio tutte le certezze che gli sono presentate come tali; il sofista crede di sapere cos’è la virtù, e Socrate lo mette in dubbio; il grande stratega crede di sapere che cos’è la tecnica militare, e Socrate, in Senofonte, lo mette in dubbio; l’artista crede di sapere che cos’è l’ispirazione e la poesia, e Socrate lo mette in dubbio; ma l’intento di Socrate, attraverso questo dubbio, questa confutazione, questo esame, è quello di provare se veramente il suo interlocutore sa, o se invece crede soltanto di sapere, cioè se di fronte alle sue obiezioni egli ha una risposta convincente oppure no. In questo senso l’atteggiamento fondamentale di Socrate è un atteggiamento “elenchico”, confutatorio; però Socrate che ironizza, il Socrate che dissimula – perché questo è il senso del termine ironia nel linguaggio socratico: Socrate dissimula il proprio sapere di fronte alla pretesa di sapienza altrui. Si trattava dunque, diciamo, di strumenti dialettici, che avevano lo scopo di far emergere il consenso, perché la differenza fondamentale tra il dialogare socratico e la dialettica platonica, tra la homologhía, l’accordo, il consenso socratico e la verità platonica, è che Socrate pone il consenso e la discussione come condizioni della verità; Platone invece porrà la verità come condizione della discussione e della dialettica. Quindi il pensiero di Socrate, rispetto a quello di Platone, è un pensiero estremamente più laico, più critico, per così dire, molto più interrogante, dubitoso. Platone è un uomo di certezze. Socrate è un uomo di domande, Platone è un uomo di risposte; e quanto più la filosofia si è identificata con il dare risposte, tanto più si è rifatta a Platone e ad Aristotele; quanto più la filosofia si è posta come domanda, come interrogazione, tanto più si è rifatta a Socrate.
Il metodo socratico parte dunque dall’ironia e dal dubbio, che costituiscono la pars destruens, necessaria per sgomberare il campo dalle opinioni infondate; ma a questa pars destruens succede poi una pars construens, quella che si definisce maieutica, e che consiste nel far emergere la verità dell’interlocutore. Come si svolge questo processo?
Socrate insiste prevalentemente su un motivo: quello della ricerca in comune. Egli rimette in questione le opinioni che ciascuno si è fatto per proprio conto, e vuole che siano portate, per così dire, di fronte ad un tribunale, che è quello della discussione, del dialogo, che deve servire a compiere la ricerca in comune tra i due interlocutori, e a farli arrivare insieme ad un risultato; quale sia poi questo risultato, questo nella maggior parte delle fonti che noi abbiamo su Socrate non è delineato con chiarezza, ed è comunque sempre un risultato destinato ad essere rimesso in discussione. Però ci sono dei passi, nell’Apologia di Platone, in cui il Socrate confutatorio, il Socrate dubitante, il Socrate che sa di non sapere, una cosa la sa con assoluta certezza, e cioè che il sommo bene per l’uomo è appunto questo dialogare: tutto può essere, come dire, sottomesso al criterio del dialogo, ad eccezione del dialogo stesso, e quindi il dialogo è il sommo bene per l’uomo. È questa, mi pare, la parte più importante della filosofia di Socrate così come risulta dalle fonti. In questo senso Socrate è una delle grandi personificazioni dello spirito critico, dei diritti dell’obiezione, della ragione, della critica, e di tutto ciò che noi da sempre definiamo come antidogmatismo, come libertà di ricerca, libertà di indagine.
Nell’Apologia di Platone, Socrate racconta che il suo amico Cherofonte era andato a consultare l’oracolo di Delfi, e questo gli aveva rivelato che Socrate è il più sapiente di tutti gli uomini. Ma come interpreta Socrate questa frase? In che senso la sua sapienza coincide con la sua ignoranza?
Questo episodio è molto interessante perché ci consente anche di ricollegarci per un momento all’accusa di ateismo. Cerco qui di parafrasare il discorso di Socrate secondo la testimonianza di Platone: “Questo è il responso di un dio e un dio non può mentire, deve dire la verità; d’altra parte io sono assolutamente certo di non essere il più sapiente degli uomini, quindi come mi debbo comportare? Sottoporrò ad esame il responso del dio, lo metterò alla prova”; e da lì fa partire la sua ricerca: “Andai dagli uomini politici e misi alla prova la loro sapienza; andai dai poeti e misi alla prova la loro sapienza; andai dagli artigiani, e tutti mi apparvero – dice Socrate – come tali che credevano di sapere ma non sapevano realmente”. L’uomo politico non ha la scienza politica, ma governa in base alle opinioni, in base all’indulgenza verso i desideri delle masse, cercando di sollecitare i piaceri della gente, e quindi non secondo principi rigorosi. Il poeta è poeta per ispirazione divina, e non perché sa quello che poeta, mentre l’artigiano, sì, ha una sua esperienza, nel senso che sa costruire una nave o un ponte e via dicendo, però, dal fatto di sapere queste cose, presume di conoscere anche le questioni più generali. Così conclude Socrate: “Forse l’unico senso in cui il responso del dio può essere vero è che mentre gli altri credono di sapere ma non sanno, io almeno una cosa la so: so di non sapere; e questo sapere di non sapere è appunto quella sof¤a (sophía), quella sapienza, che mi attribuisce la divinità”. Si vede di qui che l’atteggiamento di Socrate verso la divinità non consiste nel riconoscerle la ragione perché è divinità, ma, paradossalmente, nel riconoscerne la divinità per il fatto che ha ragione. In altri termini, sono io che riconosco alla divinità il prestigio e la sacralità di cui le faccio credito, ma in base al mio esame. Quanto ad ogni sua pretesa di presentarsi come divinità, e di avere ragione per questo stesso motivo, questo è escluso. Anche questa è una concezione molto laica della divinità e della religiosità, che Socrate, il quale era certamente una personalità religiosa, intendeva in modo del tutto diverso da come comunemente era sentita a quell’epoca.
Proprio a proposito di religione, Socrate parlava di un daimÒnion (daimónion), che portò poi i suoi accusatori a sostenere che egli praticava una religione diversa da quella olimpica. Dietro questa voce del demone si è voluto vedere la voce della coscienza. Socrate sarebbe ricorso ad una metafora per dire: “Io dentro di me sento una voce che mi dice quello che io debbo fare, ed è la voce della coscienza”. Il daimÒnion, in quanto figura divina che accompagna gli uomini, ciascun uomo, si poteva prestare a questo; però si tratta di una voce della coscienza alquanto strana, poiché il demone distoglie ma non invita, si limita cioè a proibire di fare qualcosa, ma non stimola a determinate azioni. Io ho l’impressione, soprattutto in base al fatto che nessun socratico ha ripreso questo tema, che fosse un dato certamente caratteristico della biografia di Socrate, ma senza grande rilievo per la sua filosofia; un suo modo caratteristico di porgere e di presentare le cose, di motivarle e di giustificarle, ma privo di risvolti di carattere più generale e più filosofico.
Non disponiamo di nessuno scritto di Socrate, ma conosciamo una frase che pare egli ripetesse più volte: “conosci te stesso”. Si tratta di una frase che può anche essere molto enigmatica. Come si può interpretare questo motto socratico?
Il motto è delfico, nel senso che è uno di quei motti laconici, cioè molto brevi, che esprimevano la più arcaica sapienza greca, la sapienza dei sette sapienti, la sapienza delfica. Il senso originario era quello per cui “conosci te stesso” voleva dire “conosci i tuoi limiti”, “conosci chi sei e non presumere di essere di più”; era dunque una frase che esortava alla moderazione, e naturalmente soprattutto nei confronti della divinità: non presumere di essere come dio. In Socrate conserva certamente questo significato. L’idea della saggezza, quella che i greci chiamavano la svfrosÊnh (sophrosyne), è intrinsecamente legata a quella della moderazione. Tuttavia, in Socrate, il motto ha un valore più complesso, nel senso che il “conosci te stesso” è anche un’esortazione a conoscere il fondamento delle proprie convinzioni, a indagare quale sia la loro forza, e quindi la loro persuasività, la loro verità: è in questo senso che il motto, in Socrate, ha un significato più ampio di quello originario. Io non credo che possa essere interpretato in un senso introspettivo, che cioè Socrate esortasse a guardare nella propria interiorità piuttosto che non verso l’esterno, perché in genere l’esortazione di Socrate è piuttosto quella di parlare con gli altri.
Riferimenti bibliografici
Aristotele – Organon 2016
Aristotele – Secondi analitici 2019
Aristotele – De interpretatione 2000
Aristotele – Metafisica 2004
Giannantoni Gabriele, Socrate. Tutte le testimonianze: Da Aristotfane e Senofonte ai Padri cristiani; introduzione di Gabriele Giannantoni. Bari: Laterza, 1971.