Progetto filosofi – Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche
Il filosofo Gabriele Giannantoni, già professore dell’Università Sapienza di Roma, ci introduce al pensiero di Socrate (Atene, 470 a.C./469 a.C.– Atene, 399 a.C.), uno dei più grandi filosofi dell’antichità che ha influenzato tante correnti del pensiero filosofico moderno e contemporaneo. Qui di seguito, la trascrizione dell’intervista al professor Giannatoni.
Secondo una celebre frase di Kant, la logica dopo Aristotele non ha dovuto fare nessun passo indietro e non ha potuto fare nessun passo avanti. La logica dunque nasce con Aristotele e con lui raggiunge la sua massima perfezione?
Se dovessimo fare una storia della logica antica fondandoci sul termine “logica”, dovremmo escluderne Aristotele, perché egli non usa mai questo termine, che entra nel linguaggio filosofico probabilmente con gli Stoici. Aristotele chiama l’insieme delle sue ricerche sull’argomentazione e sulla predicazione con il nome di “analitica”, intendendo con questo termine il procedimento di analisi, cioè di risoluzione di una proposizione nei suoi elementi componenti e nelle premesse da cui essa scaturisce. Ciò non di meno l’Analitica di Aristotele non soltanto fa parte della storia della logica, ma è certamente la massima espressione delle ricerche su questo tema nell’antichità. Aristotele ha consegnato queste riflessioni a molte opere, che sono state complessivamente indicate con il titolo di Organon, cioè strumento. Questo titolo non è di Aristotele, ma dei suoi editori successivi, i quali volevano così indicare il carattere strumentale di queste ricerche, nel senso che la ricerca dell’argomentazione corretta è preliminare, strumentale, per tutte le scienze, così che queste possano basarsi su ragionamenti formalmente validi. La massima espressione dell’analitica aristotelica è costituita dalla dottrina dei sillogismi, cioè dagli Analitici primi e dagli Analitici secondi, le due grandi opere in cui Aristotele espone sia la teoria del sillogismo in generale, sia, più specificamente, quella del sillogismo scientifico. Ma fanno a pieno titolo parte di questo gruppo di opere aristoteliche anche i Topica, cioè la raccolta dei tópoi, ossia dei “luoghi comuni” intesi come argomentazioni dialettiche, gli Elenchi sofistici, cioè la serie di confutazioni di argomenti particolarmente in voga tra i sofisti, e soprattutto i due trattati che recano come titolo Categorie e De Interpretatione. Nel primo Aristotele esamina il valore e il senso dei termini detti fuori di ogni connessione – per esempio i nomi e i verbi staccati gli uni dagli altri; nel secondo elabora la teoria generale della proposizione come connessione di un soggetto e di un predicato. Questo è il corpus delle opere che noi giustamente definiamo logiche, e in cui per lungo tempo nella storia del pensiero è stata vista la realizzazione massima della riflessione umana in questo campo. L’affermazione di Kant, non può però essere considerata storicamente esatta: per citare un esempio, le ricerche più recenti hanno attribuito grande valore anche alla logica stoica. Tuttavia, il giudizio kantiano esprime bene il punto di vista del razionalismo settecentesco, che considerava ancora la logica di Aristotele come il culmine non più perfezionabile di questa disciplina filosofica
Quali sono i nuclei storicamente più importanti della logica aristotelica? È corretto attribuire ad Aristotele la scoperta delle più generali e fondamentali leggi del pensiero, i princìpi logici?
Indubbiamente c’è molta parte di verità in quest’affermazione, anche se (e questo è significativo per intendere la genesi e la storia dei problemi logici) Aristotele parla dei princìpi logici non tanto in un’opera logica, ma nel IV Libro della Metafisica. In ogni caso, la teoria dei princìpi logici è certamente uno dei nuclei storicamente più importanti della logica aristotelica. Nel De Interpretatione il filosofo di Stagira indaga a lungo i rapporti che esistono tra proposizioni composte dallo stesso soggetto e dallo stesso predicato. Posso dire, ad esempio, formando proposizioni con i termini “uomo” e “filosofo”: “tutti gli uomini sono filosofi”: si tratta di un giudizio universale affermativo; “qualche uomo è filosofo”, ed è un giudizio particolare affermativo; “nessun uomo è filosofo”, ed è un giudizio universale negativo; e infine “qualche uomo non è filosofo”, ed è un giudizio particolare negativo. Quali sono le relazioni tra queste premesse? Nel quadrato degli opposti, che la tradizione ha tramandato con il nome di quadrato di Boezio ma che in realtà si trova per la prima volta in Apuleio, si può vedere che tra l’universale affermativa e la particolare affermativa c’è un rapporto di subordinazione, nel senso che entrambe le proposizioni possono essere vere (è vera “tutti gli uomini sono mortali” ed è vera anche “qualche uomo è mortale”), oppure la particolare affermativa può essere vera anche se l’universale affermativa è falsa (può essere falso dire “tutti gli uomini sono filosofi” e vero dire “qualche uomo è filosofo”). Tra le negative e le affermative c’è invece un rapporto di opposizione: “tutti gli uomini sono filosofi” e “nessun uomo è filosofo” sono due proposizioni opposte. Questo vuol dire che non possono essere entrambe vere, ma possono essere entrambe false. Infatti, se io dico che tutti gli Italiani sono Perugini e che nessun Italiano è Perugino, pronuncio due proposizioni false. Infine c’è un terzo tipo di relazione: quella tra l’universale affermativa e la particolare negativa, e tra l’universale negativa e la particolare affermativa, secondo le linee diagonali del quadrato. Qual è la caratteristica di queste coppie di proposizioni? Sono contraddittorie: non possono essere né entrambe vere né entrambe false, ma una deve essere necessariamente vera e l’altra necessariamente falsa. Quindi Aristotele distingue il rapporto di opposizione o di contrarietà e il rapporto di contraddittorietà. La differenza sta, appunto, nel fatto che solo le contraddittorie debbono essere per forza una vera e l’altra falsa. Quest’idea di contraddizione colpisce la riflessione di Aristotele, perché, se delle due contraddittorie una è necessariamente vera e l’altra è necessariamente falsa, non si possono dire entrambe contemporaneamente e in riferimento allo stesso soggetto. Qui troviamo la genesi del più famoso principio logico, che nella tradizione posteriore è noto con il nome di “principio d’identità e di non-contraddizione”. Nelle trattazioni logiche posteriori, soprattutto nel Medioevo e nella tradizione filosofica fino almeno a tutto l’800, questo principio ha preso la formula “A è A, e non è non-A”. Accanto ad esso, i trattati di logica includono un secondo principio: il “principio del terzo escluso”. Esso dice che “A o è B, o non è B”, una terza ipotesi non è data: tertium non datur. Tuttavia, esaminando i testi, possiamo notare che Aristotele non parla di principio di non-contraddizione, ma di principio di contraddizione, in greco arché tês antipháseos. Questa formula indica che Aristotele, con tale principio, non intendeva esprimere un divieto, ossia non intendeva dire: “il pensiero non si deve contraddire”; la sua intenzione era piuttosto quella di analizzare qual è il principio da cui scaturisce la contraddizione. Ma soprattutto Aristotele non parla mai di principio d’identità, e non esprime mai il principio d’identità e di non-contraddizione con la formula “A è A e non è non-A”. Infatti, le proposizioni, per Aristotele, sono sempre composte da un soggetto e da un predicato. Non ha senso, quindi, dare una formulazione in cui per il soggetto e il predicato compaia lo stesso termine, cioè “A”. Se leggiamo il testo della Metafisica, appare del tutto chiaro che Aristotele aveva in mente due princìpi diversi. Il primo è il principio di determinazione, secondo il quale qualunque cosa io pensi, penso, appunto, quella determinata cosa. Il secondo è il principio di contraddizione, per il quale non posso affermare e negare nello stesso tempo, e prendendo i termini nello stesso senso, un predicato di un soggetto. In altri termini, non posso dire contemporaneamente “A è B” e “A non è B”. Adoperando una terminologia platonico-aristotelica, potremmo chiamare il principio di determinazione “noetico”, perché appartenente non alla sfera della predicazione, ma al campo della intuizione immediata, della conoscenza senza mediazioni di una determinata cosa. E quindi esso indica non tanto l’identità di qualche cosa con se stessa (A è A), quanto il fatto che, quando penso, penso A, e non posso pensare contemporaneamente un’altra cosa. In questo quadro, si vede chiaramente che in Aristotele anche il principio del terzo escluso non è diverso da quello di identità e di non-contraddizione, ma è un puro e semplice corollario di quest’ultimo. Se non posso affermare e negare B di A contemporaneamente, è escluso che possa esprimere una terza eventualità: o affermo B di A, o nego B di A. Riepilogando, i princìpi logici aristotelici sono il principio di determinazione e il principio di contraddizione.
Come è nata la deformazione della formula aristotelica di tali princìpi?
Tutto nasce dal fatto che si è preso il principio di determinazione come un principio dianoetico e non noetico: ciò ha fatto sì che esso venisse trasformato in una sorta di giudizio d’identità. Data questa trasformazione, anche il principio di contraddizione è rimasto sempre all’interno del solo “A”. In base a queste premesse, il principio del terzo escluso è diventato un principio a sé, autonomo. Da questo punto di vista, è evidente che la teoria dei princìpi logici di Aristotele è strettamente collegata alle sue teorie metafisiche, perché serve a ribadire la necessaria determinatezza e identità con se stesso di qualunque oggetto del mio pensiero, contro il relativismo sofistico, e anche contro molte teorie dei presocratici. Restituita alla sua formula originaria, la dottrina aristotelica dei princìpi ci appare strettamente connessa con le indagini fatte da Platone nel Sofista sull’identico, sul diverso e sulla teoria della predicazione. È possibile anche abbandonare un altro luogo comune storiografico, che ha voluto rappresentare la logica dialettica di Hegel – la quale assume al suo interno la contraddizione – come l’opposto della logica aristotelica – che tende invece ad escluderla. Leggendo le pagine della Scienza della logica di Hegel, ci possiamo rendere conto di come la parentela tra Aristotele ed Hegel sia assai più stretta di quanto possa apparire. Hegel certamente critica il principio d’identità, perché è un’insensatezza fare di una vuota tautologia (“A è A”) un principio logico. Per Hegel vale, invece, il principio di determinazione, così come Aristotele lo aveva espresso. D’altro canto, Hegel non si sognava di affermare, con il principio di contraddizione, che si possono formulare contemporaneamente due giudizi contraddittori. Egli critica questa eventualità nello stesso senso in cui lo avrebbe fatto Aristotele, se fosse vissuto ai tempi di Hegel. Per Hegel ciascuna cosa è in sé contraddittoria, ma questa affermazione non è in opposizione né ad Aristotele né a Platone, il quale aveva detto che ogni cosa è, per un certo verso, identica a sé e, per un altro, diversa dalle altre. Dunque, un approfondimento della teoria dei principi logici di Aristotele serve anche a ristabilire alcune linee di continuità che una tradizione, affermatasi soprattutto nel Medioevo, ha fatto apparire come divergenze.
Qual è il secondo nucleo storicamente importante della logica aristotelica?
Si tratta indubbiamente del sillogismo e della teoria della dimostrazione. Aristotele, negli Analitici primi, offre una teoria generale del sillogismo, che vale sia per il sillogismo che parte da premesse vere, sia per il sillogismo che parte da premesse probabili. Negli Analitici secondi si sofferma invece sul sillogismo che definisce “apodittico”, cioè dimostrativo, che parte da premesse vere ed è necessario per elaborare la teoria della definizione e della dimostrazione, i due concetti più importanti per il sapere scientifico. La sillogistica è un nucleo di straordinaria importanza, non soltanto all’interno del pensiero aristotelico, ma anche per l’influenza storica che Aristotele ha esercitato. Purtroppo, anche a proposito della sillogistica possiamo constatare, con il passare del tempo, una deformazione analoga a quella che abbiamo visto a proposito della formulazione dei principi logici. Infatti, se prendiamo un qualunque manuale di storia della filosofia, troviamo come esempio di sillogismo: “tutti gli uomini sono mortali, Socrate è uomo, Socrate è mortale”. Tuttavia questo sillogismo non sarebbe stato riconosciuto come tale da Aristotele, per due motivi fondamentali. In primo luogo, un sillogismo che contenga giudizi individuali è considerato da Aristotele improprio, nel senso che tutte le forme di sillogismo devono essere formate da giudizi, o universali o particolari. In secondo luogo, nella formula citata, manca un elemento che per Aristotele è essenziale: le espressioni “se”, “e”, “allora”. (“Se” tutti gli uomini sono mortali “e” Socrate è uomo, “allora” Socrate è mortale). Queste espressioni non sono di poco rilievo, perché indicano il fatto che, se si concedono le premesse, allora, da queste premesse, consegue necessariamente la conclusione. Omettendo “se”, “e” e “allora”, otteniamo una semplice sequela di tre giudizi, senza un rapporto necessario tra antecedente e conseguente. Inoltre, dato che Aristotele non dice mai che “tutti gli uomini sono mortali”, ma che “mortale si predica di tutti gli uomini”, se vogliamo avere un sillogismo genuinamente aristotelico, dobbiamo esprimerlo così: “se mortale si predica di tutti gli uomini, e uomo si predica di tutti i Greci, allora mortale si predica di tutti i Greci”. Aristotele, infatti, definisce il sillogismo come un ragionamento in base al quale, poste due premesse, ne consegue necessariamente, per il fatto che quelle premesse sono state poste, una conseguenza. Da questo punto di vista, come va interpretato il sillogismo? A mio avviso, il criterio fondamentale si trova in una critica che Aristotele muove alla dialettica platonica. Per Platone, la dialettica era essenzialmente un dividere per generi e per specie; Aristotele ritiene che questo metodo sia inconcludente. Citerò un esempio famoso: Platone nel Sofista, per definire che cos’è il sofista, parte da un concetto generalissimo, quello di arte, e lo divide in due: arte acquisitiva e arte produttiva. Dopo di che continua la divisione. Ma, obietta Aristotele, come si fa a sapere se la divisione va continuata dalla parte dell’arte acquisitiva o dalla parte dell’arte produttiva, se già non si sa che il sofista è un produttore o un acquirente? In altri termini: o il metodo della divisione è inconcludente, o presuppone quello che si vuole trovare. Per Aristotele posso collegare due termini, “mortale” e “greco”, nell’esempio fatto, soltanto se riesco a trovare un terzo termine che sta in una determinata relazione con entrambi. Questo termine è il medio, ed introduce un concetto fondamentale nella storia della filosofia: quello di “mediazione”. Posso collegare due concetti in quanto riesco a trovare tra di loro non un semplice rapporto immediato, privo di carattere dimostrativo, ma un rapporto mediato. Per questo, nell’esempio di sillogismo aristotelico che ho fatto, il termine “uomo” è il medio, che consente di collegare “mortale” e “greco”. Nella formula genuinamente aristotelica del sillogismo, il medio è tale anche per posizione, perché funge da soggetto nella premessa maggiore, da predicato nella premessa minore, mentre, nella conclusione, si opera la connessione del termine maggiore “mortale” e del termine minore “greco”. Aristotele non si è fermato qui nell’elaborazione del sillogismo. Il primo fatto da sottolineare è che egli fu il primo, a quello che sappiamo, ad adoperare simboli, in particolare “A, B, G” o altre lettere dell’alfabeto. In questo modo viene indicato il fatto che le relazioni stabilite dal sillogismo sono valide qualunque sia il significato o il termine che si attribuisca al simbolo. Possiamo, a questo punto, presentare l’espressione più formale del sillogismo aristotelico: “se A si predica di tutti i B e B si predica di tutti i G, allora A si predica di tutti i G”. Questa formulazione indica anche che il sillogismo è valido indipendentemente dal fatto che sia o meno vero.
Si può affermare che Aristotele opera una distinzione netta tra la validità di un sillogismo e la sua verità?
Sicuramente. Posso avere un sillogismo con tutte e due le premesse false e la conclusione falsa, ma che è comunque valido. Faccio un esempio bizzarro: se dico che elefante si predica di tutte le statue, e che statua si predica di tutti i galli, e quindi elefante si predica di tutti i galli, enuncio evidentemente tre espressioni prive di senso; però la necessità della conclusione da quelle premesse è altrettanto vincolante che nel caso di un sillogismo vero. La distinzione tra la validità del sillogismo e la sua verità è, da un lato, la piena affermazione della formalità della logica – mentre spetterà alla scienza il problema della verità delle proposizioni -, mentre, dall’altro, serve a stabilire che un argomentare scientifico ed un argomentare dialettico (cioè che parte da premesse soltanto probabili, non necessariamente vere) possono essere ugualmente validi, e portare a conclusioni altrettanto necessarie. Naturalmente quest’aspetto è stato particolarmente ripreso e sviluppato dalla logica moderna. Ma in Aristotele c’è anche un altro elemento importante. Un sillogismo che parte da premesse vere e arriva a conclusioni vere è certamente valido; un sillogismo che parte da premesse false e arriva a conclusioni false è certamente valido; un sillogismo che parte da premesse false e arriva a conclusioni vere è anch’esso valido. Considero un altro esempio. Se dico che mortale si predica di tutte le biciclette, e bicicletta si predica di tutti gli uomini, allora mortale si predica di tutti gli uomini: le premesse sono false, la conclusione è vera, il sillogismo è valido. Quando non è valido il sillogismo? In un solo caso: quando sono vere le premesse ed è falsa la conclusione. In base a questa teoria della verità, che probabilmente Aristotele riprende anche da discussioni contemporanee (penso soprattutto a certi sviluppi del megarismo), è stata costruita la cosiddetta tavola della verità. Essa è indispensabile per capire non solo la sillogistica aristotelica, ma anche le riflessioni su di essa. Adoperando i simboli P, M, S per indicare il predicato, il medio e il soggetto, posso rappresentare il sillogismo in questo modo: “se P si predica di tutti gli M, e M si predica di tutti gli S, allora P si predica di tutti gli S”. Tuttavia, posso fare un altro passo avanti – peraltro già pienamente compiuto nella logica medioevale – e indicare l’espressione “si predica di tutti” con la prima vocale del verbo “affirmo”. Allora il nostro sillogismo può essere scritto anche in questa formula: “se P A M, e M A S, allora P A S”. Questo sillogismo, che è il primo modo della prima figura, è stato chiamato dai logici medioevali sillogismo “in Barbara”; le tre vocali indicano le tre universali affermative di cui esso è composto. Si può fare un ulteriore passo avanti, ed esprimere mediante simboli anche il rapporto “se-allora”, premessa-conseguenza, e, come dicono i logici moderni, il funtore di congiunzione delle due premesse, “e”. Posso fare ancora un passo, e risolvere il funtore di congiunzione in un funtore di implicazione: “se P A M, allora se M A S, allora P A S”. In questo modo ho risolto nel minimo numero possibile di simboli il sillogismo aristotelico. Naturalmente posso spingermi ancora oltre, riprendendo alcune considerazioni avanzate soprattutto dai logici polacchi, in particolar modo da Lukasiewicz, che hanno studiato la sillogistica aristotelica dal punto di vista della logica moderna. La premessa maggiore del sillogismo può essere indicata con P, la premessa minore con Q e la conclusione con R, scrivendo: se P allora, se Q, R. Questa è l’espressione assolutamente formalizzata del sillogismo aristotelico, nel senso che si parla solo di proposizioni e non più di termini. Per quanto riguarda la struttura generale della sillogistica, Aristotele, innanzitutto, distingue varie figure sillogistiche in base alla posizione del medio. Abbiamo già visto che il medio è, nella prima figura, soggetto nella premessa maggiore e predicato nella premessa minore. Può essere predicato in tutte e due le premesse, o soggetto in tutte e due, o può avere un rapporto inverso a quello della prima figura nelle due premesse. Da qui scaturiscono altre tre figure sillogistiche, di cui però Aristotele studia soltanto due: la seconda figura sillogistica, in cui il medio fa da predicato in entrambe le premesse, e la terza, in cui il medio fa da soggetto in entrambe le premesse.
Può illustrare nei particolari le figure sillogistiche considerate da Aristotele?
Anche nella seconda e nella terza figura Aristotele distingue i modi validi dai modi non validi, rispetto alla grande varietà di combinazioni possibili. Si possono indicare con la lettera I, che è la seconda vocale del verbo “affirmo”, la particolare affermativa; con la lettera E, la prima vocale del verbo “nego”, l’universale negativa, e con la lettera O, la seconda vocale del verbo “nego”, la particolare negativa. Sulla base di queste vocali, si possono formare i nomi di tutti i modi sillogistici validi, e, poiché per Aristotele, e quindi anche per la logica medioevale, validi senza bisogno di dimostrazione sono i quattro modi della prima figura, ad essi furono dati i nomi di “Barbara”, “Celarent”, “Darii” e “Ferio”. Le vocali indicano la quantità (universali o particolari) e la qualità (affermativa o negativa) delle premesse di questi sillogismi. Nomi simili sono stati dati ai modi validi delle altre figure. Per fare soltanto un esempio: i sillogismi di seconda figura sono stati chiamati “Cesare”, “Camestres”, “Festino” e “Baroco”. Nessuna di queste lettere è casuale, nel senso che non solo le vocali indicano la quantità e la qualità delle premesse, ma le consonanti indicano le operazioni che debbono esser fatte sui singoli giudizi che compongono il sillogismo, o sulla loro posizione, per ricondurlo ai sillogismi di prima figura. La validità dei sillogismi di seconda e di terza figura non è immediatamente auto-evidente, ma può essere dimostrata attraverso tali conversioni. I sillogismi in C, come “Cesare” e “Camestres”, si riconducono a “Celarent”, quelli il cui nome comincia per F, come “Festino”, a “Ferio”, mentre i sillogismi che cominciano per B, come “Baroco”, si riconducono a “Barbara”. In questo modo i logici medioevali riconoscevano immediatamente quale fosse la figura, a quale dei sillogismi di prima figura dovesse essere ricondotta, e mediante quali operazioni. È già un notevole livello di formalizzazione. Esiste un’altra caratteristica che distingue le figure sillogistiche, e che forse ha indotto Aristotele a considerare solo la prima figura come perfetta: solo i quattro sillogismi di prima figura concludono in tutti i modi possibili: universale affermativo, universale negativo, particolare affermativo e particolare negativo. I sillogismi di seconda figura concludono tutti negativamente, o universalmente o particolarmente; i sillogismi di terza figura concludono solo particolarmente, affermativamente o negativamente. Da questo punto di vista la prima figura si presenta come la più utile, nel senso che mediante i suoi sillogismi si possono ottenere tutte le conclusioni.
Vi sono altri aspetti della sillogistica aristotelica che si devono mettere in evidenza?
Un altro aspetto della sillogistica aristotelica è l’uso di assiomi, nel senso che si parte da alcune premesse considerate immediatamente evidenti. Innanzitutto un assioma d’identità che, in termini di giudizio, può essere espresso dalla seguente formula: “A A A”, A si predica di tutti gli A, oppure da un’altra del tipo “A I A”, A si predica di qualche A. Un’altra premessa è costituita dal quadrato delle proposizioni che abbiamo già visto: il rapporto di subordinazione, opposizione e contraddittorietà tra le premesse. Inoltre ci sono le cosiddette regole di conversione. Se per esempio dico che quadrupede non si predica di alcun uomo – giudizio universale negativo – posso dire anche che uomo non si predica di alcun quadrupede? In altri termini, posso invertire il soggetto e il predicato per tutti e quattro i tipi di proposizione?. Le regole di conversione stabiliscono che le universali negative e le particolari affermative si convertono semplicemente, le universali affermative si convertono in particolari affermative, le particolari negative non si convertono. Per la verità, Aristotele prova a dimostrare queste regole di conversione, ma cade in un curioso circolo vizioso. Da un lato, si serve di queste regole per dimostrare le figure sillogistiche, dall’altro, per dimostrare queste regole, si serve dei sillogismi. In ogni caso, mediante questi assiomi e queste regole, Aristotele costruisce tutto l’edificio della sua sillogistica che, fra le molte decine di combinazioni o modi possibili, ne riconosce come valide soltanto quattordici, divise in tre figure: quattro per la prima figura, quattro per la seconda e sei per la terza. Aristotele respinge un sillogismo non valido in base ad esempi; quindi, in questo caso, abbandona i simboli e torna ad adoperare termini concreti. È proprio sugli assiomi, sulle premesse della sillogistica e sulla dimostrazione della non validità di tutti i modi non validi, che si sono concentrate le attenzioni della logica formale moderna. Senza entrare nei dettagli, si può dire che i risultati più cospicui riguardano l’assunzione di due sillogismi, e non più quattro, come assiomi. Questi due sillogismi-assiomi sono un sillogismo di prima figura – “Barbara” – e uno di terza figura – “Datisi”, costituito da due premesse universali affermative e da una conclusione particolare affermativa. Il sillogismo in “Barbara” è stato scelto perché è il più evidente. Il vantaggio di avere come assioma “Datisi” risiede invece nella possibilità di dimostrare tutte le regole di conversione delle premesse. In questo modo, soltanto operando sui simboli, e senza ricorrere ad esempi concreti, si può dimostrare la validità di tutti i modi validi e rifiutare i modi non validi. Si può illustrare questa possibilità con un esempio, secondo me, particolarmente interessante. Prendiamo un sillogismo di terza figura, quello che i logici medioevali hanno chiamato con il nome di “Bocardo”. Il nome ci dice che è un sillogismo composto da una premessa particolare negativa, da una seconda premessa universale affermativa, e da una conclusione particolare negativa. Il fatto che comincia con la lettera “b” ci dice che si dimostra valido ricorrendo a “Barbara”; il fatto che ci sia la consonante “c” ci dice che può essere dimostrato valido solo mediante la prova per assurdo. Possiamo scrivere il sillogismo in “Bocardo” in questo modo: P O M, S A M – dove il medio è sempre soggetto -, P O S. Se voglio dimostrare che questo sillogismo è vero per assurdo, devo assumere che sia falso e ottenere una contraddizione. Noi già sappiamo che l’unico caso di sillogismo falso prevede due premesse vere e una conclusione falsa. Nel nostro caso, otteniamo il falso quando dalle due premesse, P O M e S A M, traggo la conclusione contraddittoria a quella di partenza, cioè P A S. Quest’ultima può essere presa come premessa di un nuovo sillogismo. Posso, inoltre, scegliere come seconda premessa una delle due di partenza in “Bocardo”, e cioè S A M. In questo modo ottengo un sillogismo in “Barbara”, la cui conclusione non può che essere P A M, una conclusione universale affermativa. La conclusione del nostro sillogismo in “Barbara” è esattamente la contraddittoria di una delle due premesse del sillogismo di partenza; ma, siccome sappiamo che le sue premesse erano vere, la contraddittoria deve essere necessariamente falsa. In questo modo, si è dimostrata per assurdo la validità di “Bocardo”.
Professor Giannantoni, tra gli altri strumenti logici con cui verificare la non validità dell’inferenza sillogistica c’è la cosiddetta regola della “reiezione”. Di che cosa si tratta?
L’altro modo possibile di dimostrare la validità di una figura si basa appunto sulla logica della “reiezione”, la procedura mediante la quale, senza mai ricorrere a termini concreti, è possibile dimostrare la non-validità di una forma sillogistica. Per formalizzare completamente la logica della “reiezione” – del rifiuto – i logici moderni hanno fatto ricorso alla cosiddetta “regola del distacco”. Questa prevede che, se affermo un’implicazione, allora, quando nego la sua conclusione, debbo negare anche la sua premessa. Questa è la formula: “se P implica Q, allora non-Q implica non-P”. Proviamo adesso a tradurre questa regola del distacco in termini sillogistici e a porre, invece della premessa “se P implica Q”, la formula che abbiamo già visto, “se P e Q implicano R”. Inoltre, poniamo come conseguente di quest’implicazione la negazione della conseguenza, e quindi la negazione della premessa: “se P e non-R, allora non-Q”. Se mettiamo, al posto di P, Q e R, le premesse del sillogismo in “Barbara”, abbiamo un’espressione di questo tipo: “se P A M e M A S, allora P A S”. La conclusione della regola del distacco è: “se P A M, P O S, allora M O S”, che è “Bocardo”. Quindi, se parto dall’idea che nella regola del distacco la premessa è vera, tutto ciò che ottengo nella conseguenza è anch’esso vero, e posso dimostrare forme valide di sillogismo. Posso concludere dicendo che il numero degli assiomi e la “reiezione” delle forme non valide di sillogismo sono i due contributi più importanti che la logica formale moderna ha dato all’insieme della teoria sillogistica così come Aristotele l’aveva elaborata.
Dopo aver dato alcune informazioni sull’origine del termine «logica» e sulla struttura dell’Organon di Aristotele, Gabriele Giannantoni illustra il cosiddetto «quadrato degli opposti» che regola i rapporti di contraddizione, contrarietà e subordinazione tra le varie proposizioni distinte sulla base della loro qualità e quantità; nel tentativo, poi, di restituire alla sua formulazione originaria la dottrina aristotelica dei principi logici, liberandola dalle deformazioni della scolastica, Giannantoni distingue nel cosiddetto «principium identitatis et non contradictionis» un principio noetico di determinazione che regola l’intuizione e un principio dianoetico di contraddizione che regola la predicazione. Il nucleo storicamente più importante dell’analitica aristotelica, a parere di Giannantoni, è rappresentato dalla sillogistica e dalla teoria dell’apodissi, la cui origine va rintracciata nella critica al metodo platonico della divisione e nell’introduzione della nozione di «mediazione». Formalizzando la struttura del sillogismo, Aristotele ha separato la sua concludenza formale dalla sua verità effettiva e lo ha distinto in quattro figure, in base alla posizione del termine medio. Dopo aver accennato agli sviluppi che l’analitica di Aristotele ha avuto nella logica medioevale, Giannantoni sottolinea il ruolo decisivo svolto dalle regole di conversione delle premesse e dagli assiomi della dimostrazione nella costruzione della sillogistica. I contributi più importanti che la logica formale moderna ha dato alla logica classica riguardano la cosiddetta regola della «reiezione», che consente di verificare le forme non valide del sillogismo.
Riferimenti bibliografici
Aristotele, Organon
Aristotele, Analitici Secondi
Aristotele, De interpretatione
Aristotele, Metafisica
Giannantoni Gabriele, Aristotele teoretico. – Roma: Istituto della enciclopedia italiana, 1993
Giannantoni Gabriele, Aristotele. Opere; introduzione e indice dei nomi a cura di Gabriele Giannantoni. – Roma; Bari: Laterza, 1973.