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Progetto filosofi – Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche
Roberto Esposito (Piano di Sorrento, 4 agosto 1950) è un filosofo e professore universitario italiano, docente di filosofia teoretica presso la Scuola Normale Superiore.
In questa lezione esposito indaga l’evoluzione delle categorie relative al pensiero politico, introducendo il concetto che la vera filosofia politica sia quella che riesce a esprimere la contraddizione radicale tra la tendenza all’ordine, propria delle categorie filosofiche e l’elemento conflittuale proprio, invece, della politica nel suo calarsi nella realtà empirica. Già Platone, nella Repubblica, tematizza tale contraddizione quando dice che nessuno degli ordini politici è un ordine positivo e nessuno riesce a eguagliare il riferimento ideale della polis. “L’animo umano – dice Platone – è come una biga trainata da cavalli che vanno in direzione contrapposta” e tale conflitto si riflette nell’ordinamento politico nell’antica Grecia. Anche San Paolo e Sant’Agostino hanno messo in risalto questo elemento di contraddizione, nella differenziazione che fa Sant’Agostino tra città dell’uomo e città di Dio, così come il pensiero che Esposito definisce “impolitico”, che tematizza l’elemento di irriducibile antinomia che sta dietro a tutti i grandi concetti della politica.
Il termine “impolitico” va inteso per Esposito come una modalità di sguardo, un modo di guardare alla politica, una “tonalità.
“Preferisco – illustra Esposito, chiamare l’impolitico più che una categoria, diciamo, una prospettiva, una modalità di sguardo, un modo di guardare alla politica; e non la chiamo categoria perché categoria già dà l’idea di qualche cosa di compiuto, di definito, di un concetto, diciamo. Mentre si tratta, in questo caso, appunto più di una tonalità, di una modalità di sguardo. E poi è difficile definire l’impolitico perché in qualche modo esso prende corpo proprio in opposizione alla categoria di rappresentazione
La rappresentazione, ad esempio, è stata la grande categoria della politica; la politica ha sempre avuto bisogno di rappresentazione, di rappresentanza. Il filosofo e politologo tedesco Carl Schmitt, in un suo saggio degli anni ’20, dice: “nel nostro tempo il monopolio della politica è ormai detenuto solamente dalla chiesa cattolica, perché solamente la chiesa cattolica romana possiede questa potenza della rappresentazione, cioè questa capacità di legare sempre il fatto politico, la decisione politica all’idea, il diritto alla giustizia, il bene al potere. Ecco, se dovessi dire in negativo a cosa allude l’idea di impolitico, direi proprio questo: che tenta di interrompere questo circuito, questa connessione tra bene e potere tipica della tradizione della filosofia politica. Cioè tenta di, in qualche modo, identificare la realtà della politica, il fatto della politica, nella sua dimensione realistica di fattualità, di effettualità, senza legittimarla in valore, senza stabilire un rapporto teologico-politico tra il conflitto politico (in fondo la politica ha al suo fondo sempre un conflitto di potere per il potere, anche se rivolto a fin di bene).
Ecco – prosegue Esposito, al contrario l’impolitico, in qualche modo, determina, confina la politica nel suo elemento realistico di puro fatto, di semplice fatto, diciamo così; e quindi sfugge al corto circuito teologico-politico che tende invece a definire questo fatto come valore, a valorizzare il fatto della politica. Naturalmente ciò non vuol dire che la prospettiva dell’impolitico, identificando la politica nel suo elemento fattuale, perda ogni riferimento a una alterità; solo che considera questa alterità (il bene, la giustizia, il valore) come qualche cosa di indicibile politicamente. E questo è un riferimento che non può essere rovesciato in positivo per non cadere in una forma di autolegittimazione, di ideologia, di idolatria, si può dire.
Quindi l’impolitico, in definitiva, non contrappone alla politica un’altra realtà, ma semplicemente identifica la realtà della politica per quello che è, senza farne l’apologia; cioè mantiene un atteggiamento, come dire, di riserva mentale rispetto a un’ipotesi di valorizzazione, di apologia della politica. Si pensi, per esempio, a come funziona la macchina legittimante della modernità; ecco, funziona in questo modo: definendo per ogni concetto un’opposizione che pone in un polo tutto il bene e in un polo tutto il male, in un polo tutto il positivo e in un polo tutto il negativo. Si pensi per esempio alla democrazia contrapposta al totalitarismo, al lògos contrapposto al mito, all’Occidente contrapposto all’Oriente.
Ecco, dunque, che l’impegno dell’impolitico emerge come operazione di demistificazione, di sfondare, di critica dell’questo atteggiamento autolegittimante della modernità che dice: “io, con le mie categorie, sono il valore”, contrapponendosi così a un disvalore che essa stessa, in qualche modo, costituisce”