Per scaricare il video, cliccare su Scarica video. Una volta aperta la schermata video, selezionare il comando “salva video come…” con il tasto destro del mouse.
Progetto filosofi – Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche
Giovanni Jervis (Firenze, 25 aprile 1933 – Roma, 2 agosto 2009), noto psichiatra italiano, affronta il tema dell’inconscio nel pensiero di Sigmund Freud (Freiberg, 6 maggio 1856 – Hampstead, 23 settembre 1939). Si tratta di un punto fondamentale su cui si basano buona parte delle teorie elaborate dal padre della psicoanalisi.
Di seguito l’intervista al professor Jervis:
Professor Giovanni Jervis, può darci una definizione di “inconscio” e descriverci l’evoluzione storico-critica di questo concetto, a partire da Freud?
Il concetto di inconscio è, in un certo senso, intuitivo. Inizio da questa formulazione perché una nozione più scientifica mette in causa, in qualche modo, questa definizione intuitiva secondo cui l’inconscio è l’insieme di quegli aspetti della mente che non sono accessibili alla coscienza. E allora si può parlare di meccanismi inconsci, in quanto si suppone che esista una fabbrica dei pensieri e delle idee che noi non conosciamo.
L’idea di inconscio è effettivamente legata a Freud. Si può dire che tutta la dottrina freudiana è una teoria dell’inconscio, che la psicoanalisi è una teoria dell’inconscio. Freud dà una versione psicologica dell’inconscio, più che filosofica – com’era stata prevalentemente fino a quel momento – e la dà secondo curvature particolari. Ciò che caratterizza l’inconscio in Freud è da un lato il concetto di rimozione, dall’altro l’idea di una sessualità dell’inconscio. Cioè da un lato l’idea che al centro dell’inconscio sta un particolare meccanismo, cioè quel meccanismo – inconscio anch’esso – per il quale noi ci proibiamo di conoscere certe cose, che sono essenzialmente idee, ricordi e fantasie; e però queste cose, che stanno dentro di noi e che sono interdette alla coscienza, quindi rimosse, tuttavia agiscono su di noi. Dall’altro l’idea di una sessualità dell’inconscio, cosa che ci porta a parlare dell’inconscio come concezione materialista della psiche.
L’idea che noi siamo in qualche modo condizionati, e in particolare forse anche agiti, da forze che stanno dentro di noi, è un’idea espressa con particolare forza e pregnanza prima da Schopenhauer e poi da Nietzsche. Freud si riferiva prevalentemente a Schopenhauer. L’idea, in sostanza, è che quella soggettività che noi chiamiamo “io”, non sia primaria, ma sia in qualche modo effetto di qualche cosa.
Freud riprende questi temi entrando in una polemica duplice: da un lato con l’immagine dell’essere umano tipica della rispettabilità borghese vittoriana dell’Ottocento, per cui l’essere umano, nella sua espressione più alta – quella del gentiluomo civilizzato – è caratterizzata dal pieno dominio dell’autocoscienza sulla mente, sul comportamento – immagine a cui ovviamente Freud si contrappone. Da un altro lato Freud si contrappone anche alla nascente psicologia sperimentale – quella degli ultimi decenni dell’Ottocento – la quale era proprio studio della psiche, cioè studio dei contenuti della coscienza.
La messa in discussione dell’inconscio di Freud è sia etica e metodologica, che una riaffermazione che va più nel profondo, più polemica, più eversiva. Dobbiamo ricordarci che la concezione dell’inconscio di Freud è materialista, perché alla base dell’inconscio ci sono le pulsioni sessuali. L’inconscio di Freud è pieno di cariche non pienamente governabili. La sessualità in Freud è una forza eversiva. I temi portati dal padre della psicanalisi all’epoca erano decisamente anticonformisti.
Quali sviluppi clinici ha avuto per Freud l’elaborazione di tale nozione?
La prima cosa da sottolineare sono gli effetti occulti e palesi dell’inconscio sulla coscienza, quindi la clinica è innanzitutto la clinica dei lapsus, cioè la scoperta che all’interno dell’autocoscienza quotidiana si infiltrano questi aspetti mal governabili, quasi sovversivi, aspetti animali ed istintivi, che sono per l’appunto i lapsus. Se l’inconscio è presente nella vita quotidiana, la patologia è altrettanto presente e mette in discussione una presunta normalità.
Freud ritiene che la sofferenza, e in particolare la sofferenza nevrotica, sia legata – per così dire – a una cattiva gestione dei rapporti con l’inconscio. E propone una migliore gestione: essenzialmente propone canali di consapevolezza maggiori, tra inconscio e coscienza. Propone che l'”io”, e in particolare l'”io cosciente” dell’individuo, in qualche modo si appropri di una parte dei contenuti dell’inconscio e, soprattutto, governi in modo più consapevole, più razionale – anche se non interamente consapevole, non interamente razionale – i propri rapporti con l’inconscio. Qui ci sono anche alcuni limiti del pensiero freudiano. In Freud – a differenza che in Jung – l’inconscio ha qualche cosa di primitivo, quindi qualche cosa di limitativo, qualche cosa – starei per dire – di grezzo. E c’è una difesa della nobiltà della coscienza, considerata tutto sommato come primaria, come un dato, che in seguito verrà messa in discussione.
Bibliografia
Giovanni Jervis, Giorgio Bartolomei – Freud, Carocci, 2001
Freud Sigmund– Introduzione alla psicoanalisi, 1915/17 – Trad. it.: Newton Compton, 2014
Freud Sigmund, L’interpretazione dei sogni – 1899. Prima edizione italiana: 1948
Tag