Progetto filosofi – Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche
Carlo Augusto Viano (Aosta, 10 luglio 1929 – Torino, 20 luglio 2019) è stato un filosofo, storico della filosofia e accademico italiano.
in questa intervista, il professor Viano spiega le radici storiche e i concetti fondanti dell’utilitarismo.
1. Professor Viano, una delle correnti più interessanti della filosofia morale è quella che va sotto il nome di utilitarismo. Può aiutarci a ripercorrere brevemente la genesi di questo movimento, nonché a ricordare le figure dei filosofi che – più di altri – hanno contribuito al suo sorgere?
L’utilitarismo ha date di nascita precise e alcuni personaggi fondatori, come Jeremy Bentham, pensatore inglese che vive e opera tra la fine del Settecento i primi anni dell’Ottocento. C’è poi un gruppo di persone, che si raccolgono intorno a Bentham, che danno il via a una specie di successione interna. Ci sarà poi un altro grande profeta dell’utilitarismo, John Stuart Mill, figlio di James Mill, che aveva vissuto a casa di Bentham (Bentham era stato il suo educatore).
Bentham pensava che si potesse usare un calcolo anche nelle nostre decisioni pratiche. In cosa consiste questo calcolo quando, ad esempio, un sovrano o un governo deve stabilire una legge? Si prende in esame una decisione qualsiasi e si considerano le conseguenze piacevoli e spiacevoli che ne derivano. In questo caso si sceglierà, se non ci sono alternative, la decisione che ha il maggior numero di conseguenze piacevoli. E’ difficile comunque avere una decisione A con conseguenze solo piacevoli e una decisione B con conseguenze solo spiacevoli. A e B avranno un po’ di piacere e un po’ di dolore. Allora io prendo in esame il dolore, gli dò un numero e gli metto davanti un segno meno(-); prendo il piacere, gli dò un numero e metto davanti il segno più (+); poi faccio una somma algebrica e il risultato mi dice da che parte io devo stare, quale decisione devo prendere. E’ un’idea che poteva entusiasmare e che semplificava di molto le cose.
Si trovarono però subito obiezioni e problemi. Se confronto i miei averi con quelli di un interlocutore, non è difficile contare le monete che abbiamo in tasca e dire: “tu hai cinque monete e anche io ne ho cinque”; ma se, per esempio, io trovo un interlocutore che ha sete, mentre io ho fame, come possiamo confrontare se soffre più lui a rinunciare a bere o soffro più io a rinunciare a mangiare? Non è per nulla facile!
L’utilitarismo suppone che i piaceri e i dolori di persone diverse siano sommabili tra loro, siano cioè assolutamente omogenei, e che tutti i piaceri e i dolori siano assolutamente omogenei. Questo sollevava un grosso problema.
Stuart Mill, l’allievo e quasi nipote di Bentham, un po’ ribelle e insofferente, cominciò a negare che tutti i piaceri e i dolori siano eguali. Bentham aveva detto una cosa che sembrava molto paradossale: un buon governante deve rendere i suoi sudditi quanto più contenti possibile. Se i sudditi vogliono passare il loro tempo a leggere poesia o a fare il gioco della pulce – che è uno dei giochi più stupidi che esistano -, tutto questo non importa. Non è affare del governante decidere che cosa debbano fare i suoi sudditi.
Stuart Mill non era d’accordo; per lui il piacere di leggere poesia non è omogeneo a quello del gioco della pulce o a quello che si prova ubriacandosi in solitudine; si tratta di piaceri completamente diversi.
Cominciava a prospettarsi, con J.S. Mill, l’idea che l’utilitarista non è solo colui che permette alla popolazione di realizzare nella misura maggiore il piacere che questa preferisce, ma è anche colui che deve educare una popolazione a piaceri superiori. L’innovazione introdotta da John Stuart Mill stava nell’affermare che i piaceri si distinguono qualitativamente. Questo naturalmente introduceva una grave minaccia al progetto utilitarista, secondo il quale si potrebbero prendere decisioni esclusivamente facendo calcoli.
Quali sono, secondo Mill, le alternative che si hanno quando si affrontano i problemi morali? O si crede, come Aristotele, che esista un fine o un bene in sé, migliore di tutti gli altri, e da questo fine si ricavano con un ragionamento di tipo deduttivo gli obblighi e le leggi morali (e in questo modo si operano le scelte); oppore si fa come Kant: non si crede che si debba partire da un fine in sé, ma da una legge morale che è una legge universale, e da questa legge morale si possono ricavare indicazioni, prescrizioni, su come ci si deve comportare, di volta in volta, dal punto di vista morale.
Secondo J. Stuart Mill, che a questo riguardo riformulava dottrine di Bentham, non esiste un fine in sé delle azioni umane, così come non esistono delle leggi puramente formali che debbano essere seguite ad ogni costo, leggi che si possono ricondurre sotto la formula: “il dovere per il dovere”. E’ quello che si era in qualche modo espresso nel verso di Giovenale ripreso da Kant: “Fiat iustitia, pereat mundus“, cioè “si compia la giustizia in ogni caso, anche se il mondo dovesse perire [come conseguenza del compimento della giustizia]”.
John Stuart Mill afferma che la mentalità utilitaristica è completamente diversa: essa cambia una decisione se vede che le sue conseguenze sono negative. Di per sé ogni decisione è buona o comunque è indifferente in se stessa. Quello che conta sono le conseguenze delle decisioni che io prendo.
Riferimenti bibliografici
Viano Carlo Augusto, L’etica, Mondadori, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1981
Viano Carlo Augusto, Va’ pensiero: il carattere della filosofia italiana contemporanea, Torino, Einaudi, 1985
Viano Carlo Augusto, (con Pietro Rossi) Filosofia italiana e filosofie straniere nel dopoguerra, Bologna, Il Mulino, 1991
Viano Carlo Augusto, (curatore) Teorie etiche contemporanee, Torino, Bollati Boringhieri, 1995