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Remo Bodei (Cagliari, 3 agosto 1938 – Pisa, 7 novembre 2019) è stato un filosofo e accademico italiano. In questa lezione definisce l’espressione «identità personale» e ne spiega l’origine. Analizza il senso e il contenuto che ricevette nella filosofia anglosassone e tedesca, descrive le implicazioni della riduzione dell’identità personale a «filo di memoria» (Locke) e a «fascio di percezioni» (Hume) e gli esiti delle risposte che Kant e Fichte diedero per sottrarre l’identità all’inconsistenza e alla fragilità cui la filosofia inglese sembrava averla condannata, passando per Schopenhauer, Freud, Lacan e soffermandosi, in particolare, su Heidegger e sulla psicopatologia francese cui dobbiamo la nozione di personalità multipla.
Bodei ribadisce la storicità dell’idea di identità personale, portando come esempio il diverso approccio che la cultura orientale mostra di avere rispetto al problema dell’individuazione. Derek Parfit, autore di Ragioni e persone è, a suo avviso, uno dei più interessanti sostenitori dell’abbandono dell’idea di identità e del principio di individuazione. Per il filosofo americano, l’identità personale indica la capacità degli individui di aver coscienza di permanere se stessi attraverso il tempo e attraverso tutte le fratture dell’esperienza.
“E’ stato Locke, nel Saggio sull’intelligenza umana, a parlare per la prima volta di identità personale. Questo avviene in un epoca in cui entra in crisi la vecchia idea, metafisica e religiosa di anima, intesa come sostrato unitario e indivisibile che permette la permanenza delle nostre esperienze. Si tratta di un periodo in cui si elabora, in un certo modo, il lutto per questa perdita: infatti l’anima è una proiezione dell’individuo, un ponte dal tempo all’eternità; nel momento in cui questo ponte non sussiste più, bisogna abituarsi a vivere nel mondo della caducità.
L’identità personale implica la percezione di una fragilità della coscienza e di una serie di discontinuità che devono essere metabolizzate. Quindi l’identità personale, per Locke – che non credeva a entità metafisiche come sostanza, causa, ecc. -, viene connessa a una fondazione, che chiamerei orizzontale, invece di una fondazione verticale. Per fondazione orizzontale intendo una fondazione che, non potendo più presupporre un elemento di continuità metafisico o naturale dell’individuo, viene cercata in qualcosa che metta in relazione gli istanti, le ore, i giorni della nostra esistenza con tutto l’arco della nostra vita organica. Per Locke esiste qualcosa di analogo, che garantisce la continuità: il filo della memoria. In Locke c’è l’idea che l’identità è una conquista, un lavoro. Locke dice una cosa che mi pare molto bella, e che inoltre ci mostra un Locke “barocco”, oltre che filosofo proto-illuministico: molte volte le nostre idee muoiono, prima dei nostri figlioli, e somigliano a quelle tombe in cui le scritte si sono cancellate e rimane soltanto il marmo o la pietra. Le nostre idee rischiano di dissolversi se noi non le rinfreschiamo, non le ripitturiamo continuamente (…). L’identità personale è dunque per Locke, questo lavoro di rinfrescare continuamente – di “ripittare”, direbbero a Napoli – tutte le nostre idee e la nostra continuità. L’identità quindi non poggia su niente, ma si prolunga nel tempo, legata alla continuità della memoria; di modo che – dice Locke – se io sento di essere la stessa persona che ha avuto i “vissuti” di Socrate, e se li ricorda, e sono attualmente il Sindaco di un posto qualsiasi, io sono Socrate; se invece io, per qualche malattia, per un’amnesia, non ricordo più di essere la stessa persona precedente, io non sono lo stesso”.
Questo elemento di fragilità si accentua in Hume. In Hume la memoria diventa qualche cosa che anche nelle persone normali è piena di buchi, priva di continuità: “Che cosa facevo – dice Hume – il 3 agosto del 1733?” – “Chi se lo ricorda” E lo stesso vale per un altro giorno, per il 1º marzo del 1720, ecc. Allora per Hume l’identità è legata a un fascio di percezioni attuali. Io sento caldo, sento freddo, mi passa per la mente questo pensiero; ma se cerco di afferrare quello che è l’io, vi trovo soltanto il vuoto. L’identità, per Hume, è qualcosa di fittizio; fittizio nel senso in cui noi diciamo “feticcio”, cioè qualcosa di costruito.
Riferimenti bibliografici
Locke John, Saggio sull’intelletto umano, 1695. trad. it.: Saggio sull’intelligenza umana, Laterza, 2006
Bodei Remo, Destini personali. L’età della colonizzazione delle coscienze, Milano, Feltrinelli, 2002.
Bodei Remo, Il dire la verità nella genealogia del soggetto occidentale in A.A. V.V., Foucault oggi, Milano, Feltrinelli, 2008.
Hume David, A Treatise of Human Nature: Being an Attempt to introduce the experimental Method of Reasoning into Moral Subjects, 1739 e 1740. Trad. it.: Trattato sulla natura umana, Laterza, 1982
Kant Immanuel, Kritik der Urteilskraft, 1970. trad. it.: Critica della facoltà di giudizio, a cura di Emilio Garroni e Hansmichael Hohenegger, Collana Biblioteca, Torino, Einaudi, 1999; Collana PBE. Classici, Einaudi, 2011.
Parfit Derek, Reasons and persons, 1984. trad. it.: Ragioni e persone, Theoria, 1989