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Progetto filosofi – Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche
Carlo Cellucci, Professore emerito di filosofia all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, in questa intervista spiega le basi del pensiero di Bertrand Russell, (Trellech, 18 maggio 1872 – Penrhyndeudraeth, 2 febbraio 1970) è stato un filosofo, logico, matematico, attivista e saggista britannico.
Fu un autorevole esponente del movimento pacifista nonché divulgatore della filosofia, avvicinato alle correnti filosofiche del razionalismo, dell’anti teismo e del neopositivismo.
L’inizio della sua filosofia, il suo punto d’attacco, è costituito dai fondamenti della certezza della conoscenza di tipo cartesiano e il problema che lo ha mosso fino all’inizio è se esiste un tipo di conoscenza assolutamente indubitabile di cui possiamo fidarci. La sua formazione è stata sia nel campo della filosofia che nel campo della matematica perché in Inghilterra, a differenza di come accade in Italia, quando si studia filosofia, si studiano più soggetti. Quando lui era studente all’Università ha scelto due soggetti, la Matematica e la Filosofia, per cui la sua formazione è avvenuta in entrambi i campi.
Il paradigma della certezza per lui è la matematica e, quindi, egli cercava naturalmente di dare una fondazione della matematica, di dare dei fondamenti della matematica che fossero assolutamente certi. Nel tentativo di dare questi fondamenti, naturalmente, lui è andato a cercare qualcosa che fosse, in qualche modo, ancora più certo della matematica e ha fatto questo tipo di ragionamento: in qualsiasi forma di ragionamento che noi facciamo, in qualsiasi discorso, dobbiamo presupporre dei principi logici senza i quali è impossibile qualsiasi discorso sulla realtà. Allora, il tipo di discorso che ha fatto è questo: visto che in ogni ragionamento che facciamo sono sempre impliciti dei principi logici, allora la logica deve essere il fondamento della matematica e, siccome non c’è niente di più generale della logica, io non posso trovare niente che mi possa garantire una sicurezza maggiore della logica. E’ in questo senso, appunto, che la sua filosofia, la sua posizione filosofica, viene detta logicismo proprio perché alla base della sua posizione c’è l’idea che, per rendere sicura la matematica, bisogna far vedere che tutti i concetti matematici sono riducibili a concetti logici e tutti i teoremi della matematica sono riducibili a teoremi logici. C’era, dunque, dietro, l’idea appunto di dover ridurre la matematica alla logica e questa riduzione, che si chiama appunto il logicismo di Russell, per lui era soltanto un primo passo perché in realtà lui avrebbe voluto andare oltre e, successivamente, tentare di ridurre anche le parti della fisica teorica alla logica, cercare di ridurre alla logica la maggior parte delle nostre conoscenze. Soltanto in questo modo, siccome la logica era il paradigma di ogni certezza, nel senso che si occupa di ciò che viene presupposto più in generale in qualsiasi discorso, se allora fosse riuscito a fare questo (a operare questa riduzione), avrebbe dimostrato che gran parte della nostra conoscenza sia matematica che fisica, scientifica in questo senso è fondata ed è sicura.
Questo rivolgersi però alla matematica è stato soltanto per lui fonte di una grande delusione perché, sebbene la matematica sia stato il primo campo del quale Russell cercava di dare la fondazione, è stato anche quello di cui non è riuscito a dare una fondazione. Alla fine della sua vita, nei suoi Ritratti a memoria, riguardando il proprio passato, dice appunto:
“Ho speso tutta la mia vita per cercare di far mantenere in piedi quest’elefante vacillante, ho cercato nella mia vita di costruire una tartaruga per sostenerlo, mi sono accorto che anche la tartaruga non ce la faceva e quindi, tutto sommato, la mia vita è stato un fallimento”.
E’ molto interessante leggere la sua autobiografia, lui racconta questa esperienza molto strana che però in un certo senso che riassume in un qualche modo il suo atteggiamento verso la filosofia. Russell tra l’altro ha perso i genitori e la sorella a quattro anni ed è stato allevato da suo nonno Lord Russell, che è stato primo Ministro inglese, in una famiglia, quindi, in un certo senso molto potente in Inghilterra. Aveva studiato fino a una certa età in casa e non in scuole pubbliche. Mentre studiava in casa c’era suo fratello, poco più grande di lui, che aveva cominciato da solo a studiare gli Elementi di Euclide e Russell, che allora aveva undici anni, vedendo il fratello che studiava gli Elementi di Euclide gli ha chiesto: “aiutami un po’, voglio capirci qualcosa anch’io” e il fratello gli disse: “studiamo insieme”. Lui racconta che però quando il fratello gli disse:
“se vuoi studiare gli Elementi di Euclide devi partire da questi assiomi e devi accettarli altrimenti non possiamo andare avanti” egli dice: “fu questa la più grande delusione della mia vita, perché io credevo che, perlomeno nella scienza, si partisse da qualcosa che non dovessi concedere e invece dovevo concedere qualcosa dall’inizio e questa (dice Russell) è stata una fonte di delusione che accettai momentaneamente perché volevo sapere cos’era la geometria. Questo senso di insicurezza però che mi è nato allora nel vedere che nessuna conoscenza era fondata su qualcosa di assoluto, per me è stata fonte di una grande incertezza che, da allora, mi sono portata appresso tutta la vita.”
Russell ha avuto una notevole influenza sul pensiero di Wittgenstein perché l’impianto logico del Tractatus è basato sul principio della matematica di Russell. In questo senso il Tractatus non sarebbe affatto comprensibile e, senza quest’opera di Russell, non avrebbe potuto esistere a meno che, ovviamente, Wittgenstein non avesse inventato da sè quello che aveva fatto Russell precedentemente. Il rapporto tra i due è abbastanza strano e ambiguo perché nel momento in cui Russell scriveva quell’introduzione, in quanto filosofo lui era in crisi non credeva più alla sua filosofia. Quell’introduzione l’ha scritta, quindi, in una fase del suo pensiero in cui ormai si rendeva conto che il logicismo che lui aveva cercato di sviluppare non funzionava perfettamente e stava cercando di battere strade nuove. Per un periodo, almeno, si avvicina all’atomismo logico, a quest’idea che c’è il mondo fatto di atomi che per Wittgenstein sono i fatti, mentre per Russell sono qualcosa di più ambiguo. Russell chiama atomi le sensazioni, i lati originari delle sensazioni, per esempio. A parte queste differenze, comunque, l’idea fondamentale è che il mondo è fatto di atomi logici e che, spiegare il mondo, vuol dire studiare in qualche modo le relazioni tra questi atomi e che il linguaggio riflette i rapporti tra questi atomi di cui è fatto il mondo. Questo tipo di idea, che sta, poi, sia all’origine di questa seconda fase della filosofia di Russell sia alla base del Tractatus, Russell ha creduto per un po’ che fosse la via giusta della filosofia. Naturalmente dopo un po’, come del resto (ha fatto) anche Wittgenstein, ha capito che questo tipo di raffigurazione della realtà era molto limitata, non funzionava e, quindi, l’ha abbandonata. E’ importante, però, vedere che c’è stata questa notevole convergenza tra le due posizioni, almeno in un certo momento. Il momento della convergenza tra le due posizioni è stato intorno alla prima guerra mondiale, poi, naturalmente, le loro vie si sono fortemente separate, divise. Wittgenstein non aveva molta stima del lavoro successivo di Russell poichè lo considerava troppo alla moda, (considerava) che facesse troppe concessioni al pubblico, che non fosse molto profondo, molto innovativo. Successivamente, quindi, sebbene abbia conservato per tutta la vita rispetto per Russell come filosofo, in qualsiasi cosa che abbia scritto su di lui, si nota il rispetto nei suoi confronti. Lo riteneva un po’ un uomo del passato, una persona che non faceva più un lavoro creativo, cosa molto importante in filosofia.
L’incomprensione, secondo me, è di fondo perché Wittgenstein e Russell erano pensatori profondamente diversi, anche per carattere. Russell era un positivista, fondamentalmente per lui la scienza era l’unica forma di conoscenza vera e tutto il resto era emozione o cose del genere. Lui ha una visione molto positivistica della realtà che, ovviamente, Wittgenstein non ha. Wittgenstein ha anzi molti dubbi sulla scienza, sulla conoscenza scientifica e, secondo me, è questa differenza di fondo che divarica le due posizioni cioè questa weltanschauung completamente differente che c’è dietro, la posizione che si assegna alla conoscenza è molto diversa. Per Wittgenstein non è così importante la conoscenza in quanto tale ma lo è soltanto nella misura in cui essa significa qualcosa della nostra vita, che è qualcosa di molto diverso, non è un valore in sè, ma soltanto una misura. Ha un valore in quanto ci dà qualcosa e risolve anche i nostri problemi pratici. Russell non ha affatto quest’atteggiamento la scienza ci dà l’impalcatura del mondo, la metafisica è il mondo e questo è l’essenziale. Non è importante, poi, (per Russell) che sia utile per i nostri fini, che interagisca in qualche modo con la nostra vita e così via e dietro (la loro divergenza) c’è questa cosa fondamentale.
Riferimenti bibliografici
Russell Bertrand, Whitehead Alfred Northon – Principia Mathematica, Cambridge University Press 1910/1913
Russell Bertrand, Philosophical Essays, London: Longmans, Green, 1910
Cellucci Carlo, La filosofia della matematica del Novecento, Laterza, Roma 2007.