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Progetto filosofi – Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche
Raffaele Simone (Lecce, 27 maggio 1944) è un linguista italiano, studioso di linguistica e filosofia del linguaggio e in questa intervista illustra le maggiori posizioni filosofiche relative al dibattito sul linguaggio
Quali sono le questioni filosofiche principali che si discutono attualmente in linguistica?
Una delle questioni fondamentali è capire la relazione tra le parole e le cose, cercare cioè di spiegare come fanno le parole, che hanno un carattere arbitrario, a darci informazioni sulla realtà. Il termine tecnico per designare la questione è il problema del “riferimento”. Altra questione è quella dell’arbitrarietà, essenza del linguaggio, per cui non è necessario che, ad esempio, una penna si chiami “penna” e spiega la mutevolezza del linguaggio nel tempo e la differenza tra i molteplici linguaggi esistenti. Di contro, ad esempio, nella visione platonica il linguaggio intratteneva un legame di tipo rappresentativo o iconico con le cose che designava. Queste due posizioni rappresentano l’interrogativo che affonda le sue radici nelle tradizioni più antiche del pensiero linguistico e che non ha trovato ancora assolutamente soluzione.
Le due questioni, e cioè la questione della “referenza” e la questione dell’arbitrarietà contro iconicità, si collegano poi in qual punto fra di loro perché se le parole sono diverse dalle cose, cioè se è vera la soluzione arbitrarista, si aggrava il problema di vedere come fanno le parole a trasmetterci conoscenza sulle cose. Se invece le parole somigliano alle cose, come Platone sosteneva e come alcuni sostengono, forse abbiamo qualche buon motivo per capire in che modo, senza guardare le cose, soltanto con le parole, si possa capire come son fatte.
Le prime pagine linguistiche di Platone – il quale di pagine linguistiche ne ha scritte tante – per esempio nel Cratilo, vertono proprio su questo problema: le cose somigliano alle parole oppure no? Le due entità sono sorelle, sono parenti oppure sono del tutto indipendenti?
La riflessione linguistica di oggi, malgrado la sua pretesa di modernità e malgrado per molti aspetti la sua modernità effettiva, non è che una ripresa di discussione che già all’epoca, già nel IV secolo a.C. erano definite. La posizione di Platone – l’ho accennato un po’ prima – è una posizione decisamente iconicista: Platone dice che le parole portano traccia delle cose che rappresentano, ed è per questo, secondo lui, che ispezionando le sole parole possiamo risparmiarci di ispezionare le cose.
Questo, del resto, fa capire che questa posizione ha un fondamento: se non fosse almeno in parte così, leggendo un verbale di polizia stradale relativo a un incidente noi non potremmo capire come è avvenuto l’incidente. Invece leggendo, ricevendo, esaminando una varietà di testi verbali linguistici, noi possiamo immaginare anche figurativamente nella nostra mente come sono andate le cose; quindi, una qualche somiglianza fra il linguaggio e le cose deve esistere.
La tradizione filosofica greca, come spesso succede, esprime, per così dire, tutta la tipologia delle posizioni che anche il pensiero moderno ripresenta. Mentre Platone rappresenta nella forma più netta la soluzione iconicista — il linguaggio somiglia alla realtà, ne porta la traccia, Aristotele rappresenta all’inverso la soluzione arbitrarista — il linguaggio non somiglia alle cose. E’ quindi Aristotele che pone, in effetti, il problema di capire quale è il ponte fra queste due entità. Con questi problemi in forma moderna noi lottiamo ancora adesso; la nostra tradizione è segnata da questa grande antinomia.
Come ha sviluppato questo tema il saggio “Logica di Port Royal”, scritto dai principali esponenti del giansenismo, Antoine Arnauld e Pierre Nicole e pubblicato nel 1662?
Si disegna un quadro ambiguo perché nella “logica” si dice “i segni sono arbitrari” ma dice anche che il linguaggio è uguale presso tutti gli uomini e che le lingue contengono una stessa grammatica perché il pensiero sottostante, il modo in cui gli uomini concettualizzano la realtà, è universale. Da cui, se il pensiero è universale, anche il linguaggio deve essere uguale per tutti gli uomini. Ciò che non è arbitrario è dunque l’organizzazione, la struttura interna del linguaggio. Tutta l’analisi del pensiero diventa dunque il fondamento della grammatica del linguaggio.
Anche oggi abbiamo indizi del fatto che esistono strutture profonde del pensiero che costringono le lingue a manifestare medesimi meccanismi malgrado la loro diversità superficiale.
Questi sono stati i presupposti della teoria del linguista Noam Chomsky?
Si. Secondo il filosofo statunitense, oltretutto, il fondamento della grammatica è nelle strutture mentali, facendo capire che le lingue possono collocarsi solo entro una certa gamma di variazioni. La posizione di Chomsky consiste nel rielaborare in idee innovative la tradizione cartesiana che soggiace all’idea di strutture innate di mente, pensiero e linguaggio.
le neuroscienze – ci danno qualche indicazione più ricca, cioè che aggiungano alle carte ormai consunte, qualche volta lacerate e pur sempre persuasive con cui ragioniamo — che sono, come ho detto, quelle antiche — qualche argomento nuovo, qualche argomento effettivamente moderno.
Tratto dall’intervista “Linguistica” – Roma, Dear, giovedì 26 gennaio 1995
Riferimenti bibliografici
Arnauld Antoine, Nicole Pierre, Logica di Port-Royal, 1662
Aristotele, De Interpretatione (Περί ἑρμηνείας), IV secolo a.C. a cura di E. Riondato, Padova 1957
Aristotele, Retorica (Τέχνη ῥητορική), IV secolo a.C., traduzione di Armando Plebe, in: Opere, vol. IX, Roma-Bari, Laterza, 19926 (prima edizione 1961)
Chomsky Noam, Linguistica Cartesiana. Un capitolo nella storia del pensiero razionalista (1966), (Cartesian Linguistics. New York: Harper and Row, 1965).
Chomsky Noam, Regole e rappresentazioni, Milano, Il Saggiatore, 1981.
Chomsky Noam, Su natura e linguaggio. Edizioni dell’Università degli Studi di Siena, 2001.
Platone, Cratilo, IV secolo a.C.
Simone Raffaele, Fondamenti di linguistica, Bari-Roma, Laterza, 1990.