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Progetto filosofi – Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche
Tullio De Mauro (Torre Annunziata, 31 marzo 1932 – Roma, 5 gennaio 2017) è stato un linguista, lessicografo, accademico e saggista italiano, ministro della pubblica istruzione dal 2000 al 2001. Ha il merito di aver tradotto e diffuso in Italia il “Corso di linguistica generale” (Cours de linguistique générale) di Ferdinand de Saussure che, insieme ad alcuni autori strutturalisti, ha avuto una certa influenza sul suo pensiero. Ha presieduto la Società di Linguistica Italiana (1969-1973) e la Società di Filosofia del Linguaggio (1995-1997). Nel novembre 2006 ha contribuito alla fondazione dell’associazione Senso Comune per un progetto di dizionario informatico, di cui era presidente. Era socio ordinario dell’Accademia della Crusca.
In questa lezione De Mauro affronta la questione dell’origine del linguaggio: se da un lato il linguaggio è una cosa “ovvia, la sua peculiarità risiede tuttavia nella molteplicità delle lingue. La diffusione delle lingue al di fuori del loro luogo di origine segnala che la pluralità di idiomi non è dovuta solo a cause ambientali, ma a ragioni culturali.
Nella cultura classica gli Epicurei sono i primi a riconoscere questa pluralità: evocarla serve per spiegare che non vi è una morale unica, poiché base della convivenza civile e intellettuale è appunto la lingua, che nasce da contesti storici diversi. Per Epicuro la lingua non è imposta dall’esterno, ma è costruita come parte profonda della nostra vita biologica e culturale. Nel “De rerum natura” Lucrezio parla di “inopia”, di “stato di necessità”, sono i bisogni che spingono a foggiare le parole. Questo relativismo ha implicazioni politiche eversive: se le lingue sono la prova dell’inesistenza d’una legge morale umica, anche la vita della “res publica” va regolata liberamente . Accanto alla consapevolezza della diversità culturale nella babele dei linguaggi, nell’Ottocento col costituirsi della linguistica scientifica, si afferma l’esistenza di alcune affinità tra le lingue. Per la linguistica indoeuropea si può risalire alla discendenza da un unico ceppo originario, così come per altre famiglie linguistiche.
De Mauro bolla come “patetico” continuare a coltivare l’ideale di ricostruire la lingua primigenia . E comunque l’ostracismo riservato alla questione teorica dell’origine del linguaggio, alla ricerca della lingua madre, dura fino alla metà di questo secolo per poi entrare in crisi. Gli studiosi cominciano a chiedersi se vi è un rapporto tra il linguaggio umano e animale. Questo interrogativo viene posto, non per risalire alla lingua primigenia, quanto per la comprensione della continuità o meno nell’emergere del linguaggio nella storia della specie. Il linguaggio non è un “unicum”, ma va collocato nelle tappe della scala evolutiva . Il problema è stabilire quando gli “homines” hanno cominciato a parlare e quali siano quei prerequisiti necessari per l’uso di una lingua. Liebermann insiste su prerequisiti di tipo anatomico-neurologico e per questo afferma che, forse, neanche l’uomo di Neanderthal potesse parlare. Mentre Leroi-Gourhan, risale a più di un milione e mezzo di anni fa, per descrivere quella società complessa idonea per l’uso di una lingua. De Mauro, invece, fa l’ipotesi di trecentomila anni fa, quando con l’uso programmatico del fuoco per la cottura del cibo, l’uomo si avvale dell’indeterminatezza semantica della parola, peculiarità chiave del linguaggio .
Oggi sappiamo bene che le lingue sono profondamente diverse: con strumenti di indagine accurati le possiamo censire una per una, anche se con qualche problema, e oggi nel mondo contiamo oltre seimila lingue viventi. Oggi conosciamo abbastanza bene la storia remota della scrittura e dei rapporti tra popolazioni diverse nel vicino Oriente antico. Già allora, intendo dire nel terzo e nel secondo millennio avanti Cristo, in civiltà che coltivavano con molta tolleranza i rapporti tra le popolazioni della Mezza Luna fertile, dall’Egitto alla attuale Turchia, alla Valle del Tigri e dell’Eufrate, alle sponde del Mediterraneo; già allora era evidente l’esistenza di una grande quantità di lingue diverse. Una categoria sociale e professionale, quella degli scribi, aveva il compito di tradurre su tavolette d’argilla le lettere commerciali o le lettere diplomatiche, nonché i trattati che si stringevano tra popoli di lingua profondamente diversa. L’antico sumerico aveva una funzione simile a quella che il latino ha avuto in età medievale e anche moderna, una specie di “sopra-lingua”, così come oggi l’inglese in tanta parte del mondo. Gli scribi avvertivano la problematicità del mettere in corrispondenza due testi redatti in due lingue diverse: l’avvertivano al punto che avevano un Dio, un Dio semitico ma che aveva – a quanto pare – aveva un’udienza più vasta nella tollerante civiltà dell’epoca. Questo dio si chiamava Nabu e aveva un appellativo, si chiamava “Sanik mit hurtu” – così ci dicono gli studiosi del vicino Oriente antico. “Sanik mit hurtu” voleva dire “controllore della corrispondenza”; “mit hurtu”, della correlazione tra le parole di lingue diverse, perché soltanto un dio riusciva a risolvere felicemente il problema di questa corrispondenza.
Erodoto, grande osservatore della diversità dei costumi tra i popoli e convinto anche della grande importanza che ha la diversità delle lingue nel costituirsi delle diversità tra i popoli, le nazioni e le culture, racconta nelle Storie di esperimenti linguistici un po’ ingenui, come quello fatto da un faraone. Questo faraone avrebbe preso due poveri bambinetti e li avrebbe nutriti, nei primi giorni e nelle prime settimane di vita, al di fuori di ogni contatto con esseri umani. Il faraone voleva vedere se questi bambini sarebbero riusciti a parlare, e quale lingua avrebbero parlato. I bambini – secondo il racconto di Erodoto – a un certo punto avrebbero cominciato a dire la parola “bekos”, che vuole dire “pane”, cioè cibo, alimento, in Frigio, una lingua dell’antico Oriente, una delle tante lingue della attuale Turchia. Questo avrebbe consentito al faraone di stabilire in modo incontrovertibile che il frigio era la lingua primigenia dell’umanità. Come si vede, dunque, cercare di capire perché le lingue sono diverse, da dove vengono le tante lingue diverse, è un problema antico, più antico della stessa cultura greca da cui noi, ormai, si può dire in tutto il mondo, traiamo tanta parte della ossatura, dello scheletro profondo delle nostre costruzioni intellettuali e filosofiche.
Tratto dall’intervista “L’origine del linguaggio” – Roma, abitazione De Mauro, venerdì 10 febbraio 1995