Il 6 giugno 1961 scompare Carl Gustav Jung, (nato a Kesswil, 26 luglio 1875) uno psichiatra, psicoanalista, antropologo, filosofo e accademico svizzero, una delle principali figure intellettuali del pensiero psicologico e psicoanalitico.
La sua “psicologia analitica” o “psicologia del profondo”, prende le mosse dal pensiero del suo maestro, Sigmund Freud, per poi differenziarsi e riarticolarsi in un una teoria sistematica che prende in considerazione l’esistenza dei simboli, espressione della presenza di un inconscio collettivo che si esprime negli archetipi, oltre a un inconscio individuale (o personale). La vita dell’individuo viene vista come un percorso, chiamato processo di individuazione, di realizzazione del sé personale a confronto con l’inconscio individuale e collettivo.
In Italia, l’orientamento junghiano della psicoanalisi è stato introdotto dallo psicanalista Ernst Bernhard e, successivamente, annovera personaggi insigni come Mario Trevi (Ancona, 3 aprile 1924 – Roma, 31 marzo 2011) è stato uno dei primi e più autorevoli psicoanalisti junghiani italiani.
Sul fronte dell’elaborazione filosofica del pensiero di Jung, il filosofo Pier Aldo Rovatti (Modena, 19 aprile 1942), fondatore, insieme a Gianni Vattimo, della corrente nota come “pensiero debole”, dedica gran parte delle sue riflessioni facendo costante riferimento al pensiero junghiano.
Nell’intervista inedita, rilasciata per l’Enciclopedia Multimediale delle Scienze filosofiche, Rovatti offre un percorso di lettura e interpretazione del pensatore svizzero.
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