Il documentario “I giullari della poesia”, realizzato dal giornalista Sergio Zavoli nel 1959, racconta la straordinaria vicenda culturale e sociale del “Trebbo Poetico”, un evento singolare nella storia della divulgazione letteraria. A metà degli anni cinquanta, due giovani appassionati, Antonio Comello e Walter Della Monica, si dedicano alla diffusione itinerante della poesia italiana, antica e moderna, nelle città, nei piccoli borghi e nei paesi più remoti d’Italia. La storia viene raccontata direttamente dai protagonisti che spiegano, nella lunga intervista rilasciata a Zavoli, la scelta di utilizzare il termine “Trebbo”, ripreso dal folclore romagnolo, per indicare il progetto letterario e le sue finalità popolari: “Trebbo, qui in Romagna significa, nel mondo contadino, riunirsi insieme nelle stalle mentre le vecchie contadine fanno la maglia, le ragazze in disparte parlano d’amore e gli uomini di politica” dice Della Monica, “ così da questa parola che può significare, appunto, trovarsi in compagnia per ragionare di cose che possono dar piacere, abbiamo pensato di dare il nome a questa nostra iniziativa di carattere prettamente popolare.” Nello schema di esecuzione del Trebbo Poetico il pubblico è accompagnato in una sorta di viaggio nella poesia, con l’introduzione fatta da Walter Della Monica che spiega le varie letture eseguite, poi, da Tony Comello e al termine delle quali gli spettatori interagiscono attivamente, ponendo una serie di domande, dando un senso dinamico alla lettura poetica. Come ben sottolinea Della Monica “C’è bisogno proprio di questo, noi non facciamo un’opera di cultura accademica, facciamo un’opera di cultura nel senso più profondo della parola poesia, di elaborazione dei dati primi originari della nostra vita”. Incalzati dalle domande di Zavoli, i due intervistati rispondono su diversi aspetti connessi alla realizzazione e al successivo sviluppo del progetto culturale: dalle difficoltà, legate a un adeguato contributo economico che dia loro la possibilità di proseguire al meglio il lavoro intrapreso, alle opportunità, alle aspirazioni e alle possibili prospettive future dell’iniziativa. Della Monica racconta come ebbe inizio il sodalizio intellettuale con Antonio Comello, nato dal comune interesse per la poesia e il teatro. L’incontro avvenne nel 1953 a Milano Marittima dove sperimentarono le prime letture pubbliche di testi dei grandi poeti come “Lamento per Ignacio Sànchez Mejìas” di Garcia Lorca, accolta con entusiasmo dal pubblico di campeggiatori. Il successo inaspettato li incoraggiò a coltivare l’idea di proseguire il percorso letterario che si concretizzò in un vero e proprio Trebbo Poetico tenuto a Cervia la sera del 7 gennaio 1956, dove il pubblico romagnolo rispose positivamente all’iniziativa. L’occasione fu la prova che la poesia crea un contesto umano profondo, una sorta di sublimazione collettiva nella quale ci si ritrova a parlare e comunicare “Stranamente vicini, stranamente amici,…a guardarsi negli occhi”, sottolinea lo stesso Comello. All’inizio i due promotori erano convinti che il successo del Trebbo fosse un fenomeno esclusivamente romagnolo, però, portando l’esperienza in giro per l’Italia e all’estero hanno constatato che le reazioni positive allo spettacolo sono state le stesse, dalle città del Nord Europa al piccolo paese della Sicilia. Nelle decine di Trebbi eseguiti in Italia e all’estero, i testi scelti per la lettura pubblica di poesie spaziano dalla “Divina Commedia”, di Dante Alighieri, fino alla poesia contemporanea di Ungaretti, Montale e Quasimodo. Una caratteristica particolare di questi raduni poetici è la partecipazione tra il pubblico dei grandi scrittori e poeti contemporanei che credono e apprezzano il lavoro dei “giullari della poesia”. A uno di questi raduni ha presenziato il poeta Diego Valeri che intervistato da Zavoli riflette sull’importanza dell’iniziativa intesa come una sorta di “commercio spirituale della poesia” che, attraverso la forza comunicativa della recitazione, la fa conoscere meglio alla gente del popolo. “La poesia” dice , “non è una cosa riservata soltanto ai letterati o ai professori… ma è un bisogno universalmente sentito, anche se chi lo sente non se ne rende conto, anche se non lo sa.”
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