Il mito classico, in ogni epoca, ha costantemente esercitato la funzione di fissare archetipi di tutti i comportamenti umani e, proprio per questo, ha da sempre rappresentato uno degli elementi fondamentali per fornire una connotazione socioculturale ai vari periodi storici. I miti, infatti, pur basandosi su qualcosa di interamente rivelato, tendono a produrre una forza creatrice regolare e incessante sull’azione umana. Nell’accavallarsi dei secoli si sono succedute generazioni di studiosi che ne hanno indagato la struttura, le radici, la genesi, gli effetti, le mutazioni, gli artifici, le tracce ancora vive nel presente, nonché la loro identificazione in schemi antropologici e sociologici. Cos’è un mito? Da dove viene? Come nasce? Cosa lo mantiene in vita nel tempo? In che direzione si muove? Fino a che punto lascia in noi un segno e fino a che punto siamo noi a lasciare un segno nel mito stesso? Esso determina e subisce tante proiezioni e trasformazioni nel tempo quante sono le vite e le menti che influenza. Pertanto, quando si impone nel contesto temporale di un dato periodo, il mito intesse rapporti di interdipendenza con la letteratura, l’arte, il teatro, la psicologia, i rapporti sociali, incarna scopi, tempi, luoghi e circostanze di fruizione, assurge a esegesi di modelli di comportamento quotidiano e dà vita a molteplici interpretazioni di sé stesso.
In tal modo i grandi archetipi umani, si chiamino Edipo, Ulisse, Antigone, Oreste o Medea, pur improntando su di sé i vari periodi storici con interpretazioni contingenti, assumono connotazioni perenni al di là di ogni epoca. La loro polivalenza si insinua nella psicoanalisi, nella sociologia, nella semiotica e nella scienza della comunicazione, oltre che, ovviamente, nella letteratura, nelle arti e nella musica. L’interrogativo che tutt’oggi essi pongono è perché mai e in quale maniera l’uomo di ogni tempo ricorra ai paradigmi mitici e, sottomettendosi al loro fascino, tenti di risolvere il mistero della loro esistenza.
Il mito alla radio e alla televisione
Questo complesso sistema simbolico non poteva non influenzare profondamente anche i mezzi di comunicazione di massa affermatisi nel Novecento, che furono a loro volta generatori di miti e che proprio per questo diedero alla narrazione mitologica una nuova dimensione rivolta a schiere sociali sempre più grandi. La prima a introdurre questa nuova condizione comunicativa fu la radio. Va sempre ricordato, infatti, che il radicale mutamento delle coordinate spazio-temporali nella fruizione del messaggio sonoro, che la trasmissione radiofonica implicava, incise profondamente sulla struttura tradizionale della civiltà pre-fonografica sotto tutti i punti di vista, da quello sociologico a quello estetico, da quello artistico a quello tecnico.
La radio provocò una trasformazione paragonabile per certi aspetti solo a quella prodotta quasi cinque secoli prima dall’introduzione della stampa, trovandosi a giocare un ruolo che in passato nessuna mezzo culturale aveva potuto esercitare: consentire a un numero di fruitori in continua crescita di accostarsi a eventi che in passato erano loro preclusi. Una lezione, una rappresentazione teatrale, un concerto potevano essere goduti soltanto da coloro che erano presenti nel momento stesso in cui queste manifestazioni avevano luogo. Tutti gli altri mezzi di comunicazione di massa potevano limitarsi soltanto a parlare di esse o a diffonderle per iscritto. La radio, invece, spezza l’unità di tempo e di luogo, portandole direttamente nelle case, in diretta o in differita e, in alcuni casi, le promuove.
Alla sua comparsa, la ricezione radiofonica presenta quel carattere liturgico e quasi sacrale di cui poi si sarebbero appropriati altri media, a cominciare dalla televisione: le famiglie si riuniscono attorno alla radio, solitamente un apparecchio di grandi dimensioni (per cui ce n’è non più di uno per casa), per immergersi in un processo di identificazione collettiva nella voce che esce dalla “scatola che parla”. L’effetto ipnotico del messaggio radiofonico è tale da indurre buona parte degli indirizzi sociologici, Mc Luhan in testa, nell’indicare la radio come un mezzo “caldo”, un mezzo cioè che avoca a sé integralmente l’attenzione dell’ascoltatore impedendogli di dedicarsi a qualsiasi altra cosa.
Questo processo si dilata ulteriormente con l’avvento della televisione. L’immediatezza dell’immagine determina il recupero della componente visiva alla rappresentazione del mito, elevando quest’ultimo a metaforizzazione del mondo filtrata dall’occhio, oltre che dall’orecchio. Di conseguenza, la configurazione del mito in tutta la sua estensione – archai, saghe, leggende, famae e aneddoti – viene rinnovata dall’esposizione radiofonica e da quella televisiva, tornando a una sua primigenia condizione rituale di trasmissione orale e visiva amplificata dallo strumento meccanico. I mezzi di comunicazione di massa realizzano forme di trasferimento di informazioni in un contesto spaziale sempre più allargato e in uno temporale che può coincidere o meno con il momento in cui il messaggio destinato alla percezione sensoriale viene originato. A contatto con essi, che saranno a loro volta i massimi creatori di miti dell’era moderna e che quindi esplicheranno tutta la loro potenzialità mitopoietica, il mito classico assurge nuovamente ad archetipo conoscitivo completo di foné e opsis calato nella modernità, somma del ricordo cosciente e incosciente.
Le forme e le narrazioni intorno ai miti classici, pertanto, vengono reinventati attraverso il linguaggio dei nuovi media, rinnovando e accrescendo la loro incisività sulle vicende sociali e culturali della collettività a cui si rivolgono e di cui essi sono espressione.
Gli archivi radiofonici e televisivi RAI testimoniano più di ogni altra collezione audiovisiva questa dimensione allargata del mito come qualcosa di vivo che si arricchisce di significati con l’accumulo di passato conservato, attraverso un patrimonio documentale in grado di fornire spunti a ricerche e a conoscenze sempre più estese.
Nell’ambito di una missione educativa e didattica di RAI Teche, rivolta a fornire strumenti di consultazione di agevole utilizzo anche e soprattutto per i giovani, i documenti finora rilevati, nell’ottica di un loro incremento e di un approfondimento sempre maggiore, sono stati raggruppati per figure e temi. Ulisse, Medea, Edipo, Antigone, Enea, il dio Dioniso e il Titano Prometeo, i personaggi al momento indagati. Ad essi si affiancano alcuni significativi insiemi relativi alla mitologia classica: il mito come tradizione (facendo riferimento alle teogonie più antiche, fra cui quella di Esiodo, ma anche ad altre più tarde, si pensi, ad esempio, a Ovidio che, nel Libro I delle “Metamorfosi”, descrive la creazione del mondo e la nascita dell’uomo), nonché come rappresentazione eidetica in funzione educativa (in relazione a Platone); la figura di Omero e i suoi grandi capolavori a confronto; infine la saga degli Atridi che, a partire dalla figura di Atreo, passando per Agamennone fino a Oreste, permetterà di addentrarsi meglio anche nello spazio del teatro classico del V secolo a. C. Le tipologie di trattazione spaziano da letture di opere classiche, esposizioni didascaliche, tragedie (soprattutto realizzazioni RAI) fino ad approfondimenti sui miti che analizzano le figure e le narrazioni mitologiche sotto il profilo sociale, storico, culturale, letterario, religioso, antropologico, psicologico e filosofico.
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In focus un estratto dall’”Edipo re” di Sofocle nella traduzione di Salvatore Quasimodo, per la regia teatrale di Vittorio Gassman, che interpreta anche Edipo, e la regia televisiva di Franco Enriquez, con Mario Feliciani nel ruolo di Creonte (scena ripresa dal Prologo della tragedia sofoclea): la città di Tebe è afflitta da una pestilenza; Edipo, re di Tebe, rassicura la folla di aver mandato Creonte a consultare l’oracolo di Delfi per trovare una soluzione; Creonte giunge sulla scena e gli espone il responso, secondo cui la città non troverà pace finché l’uccisore di Laio non sarà esiliato o ucciso; Edipo, ignaro di essere il colpevole, promette di vendicare l’omicidio (Edipo re, Programma Nazionale, 13 maggio 1955).