Il documentario “Prigionia” del 1951 curato da Vittorio Cravetto è un viaggio tra i reduci delle prigionie della seconda guerra mondiale che ricordano le esperienze vissute durante la reclusione. Il racconto radiofonico alterna le voci dei giornalisti Enrico Ameri e Paolo Valenti a quelle degli ex prigionieri intervistati. Attraverso la descrizione evocativa dei momenti salienti della cattura e della detenzione dei protagonisti, i radioascoltatori sono proiettati nel luogo simbolo della prigionia di guerra: il campo di concentramento. Come opportunamente rilevato dagli autori, l’inchiesta non riguarda i campi di sterminio nazisti:” Quella fu prigionia con morte obbligatoria, allora tutto si è spostato in senso tragico e non vi sono parole, poiché quella non fu esattamente prigionia come piuttosto sterminio”. Il documentario indaga sulla condizione dell’uomo prigioniero, si concentra sul significato intrinseco del termine, mettendone in luce vari aspetti. La cronaca delle storie presentate si intreccia con le puntualizzazioni dei radiocronisti che sottolineano come, durante gli avvenimenti bellici, i militari venissero catturati e trasferiti anche in altri Paesi del mondo. Nel radiodocumentario è descritta l’organizzazione dei prigionieri nei campi, la loro esistenza di individui costretti in uno spazio circoscritto, il disagio provato che non deriva soltanto dalle vessazioni del nemico ma, anche dalla convivenza con gli altri prigionieri come viene indicato in un brano: ” il prigioniero è una gallina, che dorme, si lava, mangia, piange, ruba e ride sempre sotto gli occhi di altri”. Alcuni ex detenuti ricordano la difficoltà a integrarsi nella situazione di vita in comune imposta. Spiegano che quando si rimane reclusi per lungo tempo si perdono tutti gli interessi, man mano sfugge il senso della vita stessa. Molti per sfuggire a questo destino, durante la permanenza nel campo si dedicavano ad attività personali come la pittura, l’artigianato o l’agricoltura. Il documentario svela l’opinione unanime degli intervistati secondo cui il desiderio più grande dell’uomo durante la detenzione è quello della fuga. La speranza di poter fuggire riesce a far sopportare meglio la prigionia.
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