Il documentario realizzato da Sergio Zavoli nel 1957 nasce da un incontro che il giornalista ebbe con un gruppo di profughi ungheresi alla fine del 1956, ospiti di una colonia della Croce Rossa Italiana a Marina di Ravenna. Zavoli ha raccolto in una lunga intervista le testimonianze di sei studenti magiari protagonisti della rivolta del novembre 1956, fuggiti da Budapest dopo l’intervento armato delle truppe sovietiche. Il racconto radiofonico è costruito con l’ausilio di un questionario redatto e proposto dal giornalista ai suoi interlocutori, registrando le loro ardenti e sincere confessioni alle quali si sovrappone la traduzione in italiano “Curando che fosse il più possibile letterale che non tradisse certe espressioni originali”. Le domande sono semplici e dirette, affrontano argomenti legati alla loro vita in Ungheria prima e dopo la rivolta e alla difficile decisione di abbandonare il Paese. Raccontano di come la vita era diventata insostenibile al punto che non potevano più lavorare, studiare e come afferma qualcuno :” Sono scrittore e giornalista. Dopo l’arrivo definitivo dei russi non vi era più la possibilità di esercitare la professione a meno di non tradire determinati impegni con la mia coscienza “. I giovani con storie di vita differenti parlano dei loro ideali, esprimono il rimpianto per le aspettative disattese “ Nei giorni della rivoluzione ognuno ha nutrito la speranza di libertà, ma dopo l’intervento dei russi tutte le aspettative si sono vanificate. Ciascuno manifesta nostalgia per i propri cari e gli amici che sono morti e quelli ancora vivi che sono rimasti in Ungheria con cui hanno condiviso i giorni di lotta per un avvenire migliore. Sollecitati dalle domande di Zavoli parlano dell’idea che hanno dell’Europa e della sua cultura a cui si sentono di appartenere in quanto ungheresi ed europei. Parlano della nuova vita che li attende in Occidente con la consapevolezza delle difficoltà d’inserimento nella società che li ospita come afferma qualcuno:” “Mi propongo di accettare tutto quello che mi viene dalla società che mi accoglie perché lo considero un mezzo per ringraziarla della libertà ricevuta”. Le parole dei giovani ungheresi riassumono gran parte della dolorosa incertezza nella quale dopo la rivoluzione soffocata vive l’Ungheria. Zavoli conclude il documentario con le parole di un ragazzo di diciannove anni:” E’ caduta l’ultima delle mie illusioni che il ricordo del mio Paese potesse un po’ alla volta offuscarsi nella mia mente, che io non avrei sentito questa dolorosa nostalgia. Mi chiedo se non sarebbe stato meglio cadere nella mia cara Budapest, piuttosto che vivere liberamente lontano dal mio Paese”.
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