Éric-Emmanuel Schmitt (Sainte-Foy-lès-Lyon, 28 marzo 1960) è un drammaturgo, scrittore, saggista, traduttore, regista e sceneggiatore francese naturalizzato belga, tra gli autori teatrali più rappresentati sui palcoscenici d’Europa. Ha studiato musica e letteratura e si è laureato in filosofia presso la École Normale Supérieure nel 1983. Dopo aver ottenuto un dottorato nel 1987 è diventato “maître de conférences” all’Università di Chambéry.
I suoi romanzi sono tradotti in 25 lingue, le sue commedia rappresentate in 30 Paesi. Tema ricorrente delle sue opere, quello religioso: “le religioni sono l’architettura invisibile del mondo, quella che comanda l’azione, le norme che fanno agire gli uomini, che regolano i loro sentimenti”.
Perché l’arte è protagonista dei romanzi di Schmitt? Secondo Schmitt il ventesimo secolo ha portato secondo Schmitt molti artisti ad essere artisti senza produrre opere, ha portato molti discorsi e filosofia sull’arte che arte di per sé. “Il commento ha preso il sopravvento sull’opera e questo mi sembra un altro modo di far morire l’arte”.
Nell’intervista si affrontano vari temi: “Io scrivo sul complesso..nelle mie opere ci sono sempre riflessioni sull’apparenza..l’essere è sempre più complesso di quello che appare o di quello che crede di essere”; il romanzo su Hitler e i diari sui romanzi che sintetizzano l’esperienza filosofica della scrittura e della lettura; ogni identità è provvisoria, la vita è cambio di identità; il tema della felicità.
Intervista di Luciano Minerva