Rai Teche presenta “Il Giro d’Italia – La favola Rosa”: l’archivio racconta – attraverso alcuni momenti emblematici – la storia della corsa a tappe di ciclismo che dal lontano 1909 si svolge ogni anno lungo le strade del nostro Paese.
Nella prima metà del Novecento si affermarono figure di eroi delle due ruote quasi leggendari come Costante Girardengo, Alfredo Binda, Learco Guerra, Hugo Koblet, Fiorenzo Magni. Duelli, volate, amicizie e rivalità fecero breccia nel cuore degli appassionati che seguivano e inseguivano i loro idoli anche in cima alle montagne: una fra tutte, quella tra Coppi e Bartali. La Cuneo-Pinerolo del 1949 fu indubbiamente la fuga più leggendaria della corsa rosa: il “Campionissimo”, Fausto Coppi, partì da solo sulle prime rampe della Maddalena, a 192 km dall’arrivo, tagliando il traguardo con 11’52” su Bartali e oltre 20’ sugli altri rivali.
Charly Gaul – nella tormenta di neve del 1956 sul monte Bondone – arrivò quasi assiderato mentre metà del gruppo si ritirò a causa della morsa del freddo. A farla da padrona fu ancora la neve nel 1968 quando, sulle Tre Cime di Lavaredo, Eddy Merckx, “Il cannibale”, volle dimostrare a tutti quali straordinarie doti possedesse anche nell’affrontare le grandi montagne.
La sfida infinita sulle rampe di Montecampione nel 1998 tra Pantani e Tonkov fu forse l’ultimo duello epico tra due contendenti per la vittoria finale. Ancora “Il Pirata”, Marco Pantani, nel 1999, nella salita che portava verso il Santuario di Oropa, fu artefice di una memorabile rimonta collezionando oltre cinquanta sorpassi. Mario Cipollini, il dominatore negli arrivi in volata, uno dei migliori velocisti di tutti i tempi, nel 2003 si guadagnò il record delle vittorie di tappa raggiungendo quota 42. Le Tre Cime di Lavaredo, nel 2013, tornarono poi teatro di un’altra tappa da ricordare grazie a “Lo squalo” Vincenzo Nibali.
Il filmato mostra come è mutato il modo di raccontare il Giro anche grazie all’evoluzione tecnologica che ha consentito modalità di ripresa e valorizzazioni televisive allora impensabili. È cambiato il modo di narrare e sono cambiati i ciclisti e le biciclette: oggi, ad esempio, pensare ad “un uomo solo al comando” (per citare la mitica frase del radiocronista Mario Ferretti) che, in completa solitudine, possa valicare cinque passi alpini con dislivelli fino a 5000 metri lasciando il resto del gruppo a venti minuti di distanza è esercizio impossibile.
Raccontare – anche se in modo parziale – la storia del Giro è narrare non solo epiche imprese e atleti straordinari ma oltre un secolo di cambiamenti storici, sociali e di costume del nostro Paese che possiamo rivivere o scoprire, lasciandoci emozionare.
Gli atleti corrono su un territorio che ha attraversato due guerre mondiali sostenuti dal tifo di appassionati e famiglie che, dal bordo della strada, urlano, applaudono o passano una bottiglietta d’acqua al loro idolo. La Corsa Rosa, la più bella del mondo e la più prestigiosa dopo il Tour de France, è l’immancabile, primaverile appuntamento per gli appassionati davanti allo schermo e per i professionisti che sognano di indossare la Maglia Rosa che, introdotta nel 1931 su idea di Armando Cougnet – giornalista sportivo de “La Gazzetta dello Sport”, il quotidiano che nel 1909 aveva ideato il Giro d’Italia – venne indossata per la prima volta dalla “Locomotiva” Learco Guerra.
Centoventisette furono i partecipanti alla prima edizione del Giro del 1909 quando in palio per il vincitore, che sarebbe stato Luigi Ganna, c’erano 25.000 lire: da allora, tra l’Italia e il ciclismo, è stato sempre un amore romantico, infinito. Un romanzo mozzafiato legato all’evoluzione del nostro Paese. Una formidabile storia, mai ingiallita, di sport e di vita che – sulle aspre salite dello Stelvio, Gavia, Mortirolo e Zoncolan, solo per citarne alcune – ogni anno diventa leggenda.
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