Nella Giornata Mondiale dell’Infanzia, Rai Teche pubblica su RaiPlay le puntate della trasmissione “Uno, alla Luna”: il viaggio-inchiesta di Virgilio Sabel nelle province e periferie italiane alla scoperta di giochi e passatempi dei bambini e dei ragazzi nei primi anni ‘70.
In onda tra il 1970 e il 1973, la serie completava la trilogia iniziata da Sabel con “Questa nostra Italia” (1968) e “L’Italia dei dialetti” (1969). Le 21 puntate di “Uno, alla Luna” sono interamente dedicate al mondo dell’infanzia e vennero realizzate in collaborazione con le sedi provinciali Rai e con la consulenza di esperti di folklore (Sergio Liberovici, Domenico Zappone, Luigi Sada). Dalle campagne del Sud alle periferie delle grandi città del Nord, nei luoghi d’Italia dove i giocattoli industriali non erano così diffusi come altrove, le telecamere Rai incontrano quei bambini che riempiono ancora il loro tempo con giochi all’aperto, in strada e nei cortili, fatti di oggetti semplici, gesti, voci.
Sono i piccoli protagonisti a illustrare, con entusiasmo e autenticità, regole, filastrocche, peculiarità dialettali e tradizioni che animano i loro giochi, facendosi narratori di movenze e rituali tramandati di generazione in generazione e già allora a rischio scomparsa. Di puntata in puntata vengono presentati grandi classici come la Cavallina (da qui il grido “Uno, alla Luna!” che dà il nome al programma) o Madama Dorè, ma anche giochi più complessi e articolati, che coinvolgono i linguaggi del teatro, della religione, della superstizione e del fantastico – è questo il caso del sardo Banditi e carabinieri o del lucano È morto Sansone. Non mancano canzoni e girotondi, sfide con tappi di bottiglia, trottole o ossicini, e naturalmente le conte, di tutti i tipi e nei dialetti più vari.
“Tre, tre, giù, giù / Chi sa un gioco lo racconti qui / In città non si gioca più”. Questa l’emblematica filastrocca dei titoli di testa, che racchiude in nuce il significato profondo del programma: il consumismo e l’urbanizzazione hanno effetti devastanti sul mondo dei bambini – di qui il desiderio e la necessità di documentare cinematograficamente quella “piccola Italia” ancora immersa in una cultura lontana dalla frenesia della modernità.
“Che valore può avere una trasmissione dedicata ai vecchi giochetti?” ci si chiedeva già all’epoca della produzione sul Radiocorriere. Non solo “antiquariato” dell’infanzia ma un’eredità per le generazioni future, perché anche i giochi “sono timbro di un’epoca, di una mentalità, di un’educazione”. Per gli spettatori di oggi, un prezioso archivio antropologico di memorie e tradizioni tutte da scoprire e riscoprire.