Giorgio Nataletti, etnomusicologo, direttore del Centro Nazionale di Studi di Musica Popolare e artefice con Diego Carpitella della grande raccolta dei canti popolari italiani, affronta qui gli aspetti della tradizione musicale e letteraria popolare connessi con le manifestazioni associative o singole della criminalità organizzata o del carcere. La sua analisi pone in luce come l’interesse sempre più vivo per gli aspetti sociologici della vita contemporanea ha contribuito ad ampliare la metodologia degli studi delle tradizioni popolari estendendo la ricerca oltre i confini del mondo rurale e pastorale nel quale si era prevalentemente svolta. Partendo dalla premessa che anche gli uomini della malavita hanno un loro linguaggio musicale col quale comunicano, l’indagine mira a illustrare con l’ausilio di documenti raccolti nelle campagne, nelle periferie cittadine, nei villaggi, negli istituti di pena, gli influssi che l’associazione criminale o la detenzione determinano nella cultura popolare. Le testimonianze musicali, appartenenti al Lazio e alla Sicilia e iniziano con due canti femminili siciliani: “Tutti l’amici mia cuntenti foru” di Canicattini Bagni e “Quannu arristaru a mia” di Roccamena. Seguono poi “Allegri borzaroli” (Roma), “Ccà ti aspietto” (Canicattini Bagni), “la canzone del bicchiere” (Roma), “E lu iurici” (Partinico), “A tocchi, a tocchi” (Roma), “Stetti tri anni” (Palma di Montechiaro), “Tutti l’amici mia ‘nfame e carogna” (Naro, Agrigento), “La me liti” (Sortino, Siracusa). Intervengono il professor Antonino Uccello, demologo, antropologo e poeta, che sottolinea come gli influssi della mafia e del brigantaggio in Sicilia si evidenzino varie forme di arte popolare che comprendono, oltre al canto, l’opera dei pupi, gli ex voto, le decorazioni dei carretti siciliani e il professor Andrea Petiziol, docente di Psichiatria, che chiarisce come la moderna psicologia inquadri questa specifica forma di comunicazione musicale e poetica.