Rai Teche festeggia gli 80 anni (25 giugno) di uno dei nostri più raffinati cantautori con la pubblicazione su RaiPlay di “Quindici minuti con Roberto Vecchioni”. Si tratta del primo piccolo speciale dedicato all’artista dalla televisione pubblica proprio cinquant’anni fa, nel giugno del 1973. Nel video il cantautore introduce il brano “Archeologia” con la voce narrante che lo chiama “professore” e ironizza sul titolo del brano.
La storia di Roberto Vecchioni è del resto quella di un cantautore che come pochi ha saputo custodire l’autonomia del proprio percorso artistico, intrapreso senza mai tralasciare la parallela vocazione dell’insegnamento: professore di lettere nelle scuole superiori fino alla pensione, ha riversato nei suoi testi la capacità e il gusto di far rivivere i riferimenti culturali del passato in forme nuove e attuali, per esprimersi e per riflettere sulla vita e sul mondo, com’è tipico della migliore didattica.
All’epoca Roberto Vecchioni aveva pubblicato un paio di dischi, “Parabola” e “Saldi di fine stagione”, e soprattutto veniva dalla partecipazione sanremese di pochi mesi prima, quando aveva esordito come interprete al Festival con “L’uomo che si gioca il cielo a dadi”, canzone dedicata al padre che si piazzò settima. Presente in gara nel 1968 in veste di autore del brano “Sera” per Gigliola Cinquetti e Giuliana Valci, in anni in cui iniziava a farsi conoscere scrivendo appunto per gli altri, a Sanremo sarebbe tornato solo nel 2011, con il trionfo di “Chiamami ancora amore”.
Temi come la memoria, il viaggio, la nostalgia, il rapporto con le radici storiche e famigliari o tra generazioni diverse sono stati costantemente presenti nella sua produzione, che senza mai rinunciare alle possibilità di una vera ricerca poetica ha saputo trovare la via del successo popolare.
Una testimonianza di una così notevole qualità di scrittura è già in questa lontana trasmissione di ormai mezzo secolo fa, dove nello spazio di poco più di un quarto d’ora Vecchioni presenta quattro sue canzoni incorniciandole in una sorta di essenziale dialogo con sé stesso. Classici del repertorio del cantautore milanese come “Luci a San Siro”, “Povero ragazzo”, “Archeologia” e “Fratelli?” sono commentati brevemente in risposta agli interrogativi di una voce interiore che fornisce un po’ di autoironia al musicista trentenne che si affaccia sulla scena: “E allora che fai? Non avevi detto che a te la televisione non t’incantava?”.
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