La seconda parte della trasmissione di Giorgio Nataletti dedicata ai canti della malavita ospita alcuni interventi che trattano da differenti angolazioni i vari aspetti di questo repertorio. Il primo è quello del giurista e scrittore siciliano Giuseppe Guido Lo Schiavo, autore di specifiche opere sulla storia della mafia e di varie opere letterarie come il romanzo “Piccola pretura”, dal quale venne tratto nel 1949 il film “In nome della legge” di Pietro Germi. Lo Schiavo ricorda come il linguaggio dei detenuti, compreso il canto, sia sempre stato un mezzo per scambiarsi messaggi in codice e, riferendosi soprattutto ai cosiddetti “canti vicarioti”, ossia i canti dei detenuti nelle vicarie reclusorie o istituti di prevenzione e pena, pone l’accento su due temi fondamentali che li ispirano: la prostrazione e il rimpianto per la libertà e la rabbia contro coloro che hanno provocato lo stato di carcerazione. Prende poi la parola l’etnomusicologo Diego Carpitella che, pur ritenendo che i canti della malavita e del carcere non esistano come genere a sé stante ma siano piuttosto un’invenzione intellettualistica della fine dell’Ottocento, essendo il prodotto di un mondo già votato all’esclusione sociale prima ancora della segregazione fisica e indipendentemente da essa, ribadisce l’importanza dello studio della tradizione orale come strumento di interpretazione del mondo dei detenuti. Per Paolo Pasolini, regista, intellettuale e studioso di poesia popolare, ricostruisce il suo accostamento alle forme poetico – musicali presenti nel mondo della criminalità e della detenzione nel corso di tre fasi della sua vita: la prima, trascorsa in Friuli, la seconda, contrassegnata dalla conoscenza della periferia romana, e la terza, quella attuale, contraddistinta da un intenso rapporto con l’universo carcerario, e sottolinea l’importanza rivestita per lui dall’aspetto gergale delle formule linguistiche presenti in esse. I documenti sonori fatti ascoltare sono “La sira di lu iovi”, canto calabrese di un detenuto nella casa di pena di Noto in Sicilia, e due melodie siciliane: “Mi ni vagghiu” di Partinico e, nuovamente, “Quannu arristaru a mia” di Roccamena.
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