Con la pubblicazione di “Piccola Città”, le Teche Rai vengono incontro alla richiesta di numerosi appassionati di teatro, riproponendo la commedia di Thornton Wilder, un classico del teatro anteguerra, nel magnifico adattamento televisivo di Silverio Blasi del 1968. Nel video i primi minuti della commedia. Tradotta dall’inglese da Carlo Fruttero e Franco Lucentini, tra gli interpreti Giulia Lazzarini e Raoul Grassili, l’opera sbarca sul piccolo schermo a trent’anni dalla sua prima apparizione a teatro, a New York nel 1938.
Ambientata a Grover’s Corner, una cittadina immaginaria del New Hampshire, potrebbe sembrare una storia come tante altre. Agli occhi dello spettatore si staglia la cronaca quotidiana di un modesto villaggio della provincia americana. Al centro, vicende comuni: protagoniste le famiglie del dottor Gibbs e del signor Webb, editore. I rispettivi figli, George ed Emily, dopo anni di amicizia e corteggiamento, si sposano. La loro vita è semplice e ripetitiva: colazioni, scuola, conversazioni di circostanza sul meteo, e le attività con il coro della chiesa. Un primo elemento rompe la quarta parete: è il direttore di scena che guida il pubblico attraverso la storia, fornendo commenti e contesto.
Passano gli anni, e la maggior parte dei personaggi muoiono. È qui che subentra una finzione poetica più ardita: alla stregua del Purgatorio di Dante, i morti parlano, rievocano la loro vita passata. Ma senza ire, invettive o rancori: forse perché giovano di una nuova consapevolezza, i morti di Wilder intuiscono che la trama della vita è troppo fitta e misteriosa perché l’uomo possa trarne verità assolute. Il valore supremo e la bellezza vanno ricercati negli avvenimenti più abituali e più anonimi della vita quotidiana.
Non solo “Piccola Città”, valse a Wilder il Premio Pulitzer per il teatro, ma rappresentò, alla sua uscita, una svolta decisiva per il teatro moderno, in grado di sovvertire le convenzioni sceniche più collaudate. È nell’allestimento la più grande rivoluzione del drammaturgo americano. In anni in cui l’ambiente scenico si era fatto sempre più ricco e verosimile, i personaggi di “Piccola città”, si muovono su un palcoscenico nudo, vuoto. Indicano cose che non ci sono, bevono, mangiano, dormono, ma senza piatti, letti o bicchieri. La storia raccontata da Wilder non è più quella di “qualcun altro”: tolti da un confine particolare, eventi e sentimenti diventano universali. Sottratto il contesto tangibile, la “scena”, quella che racconta Wilder è la storia di tutti, un invito a riconoscersi e ritrovarsi per lo spettatore. Grazie agli archivi Rai, il pubblico italiano potrà quindi riscoprire un vero e proprio pilastro della drammaturgia americana.